mercoledì 22 gennaio 2014

Investire nei mercati emergenti e di frontiera



[Premessa: questo post esula dalla discussione se il proprio portafoglio debba avere o meno un’allocazione ai mercati emergenti e/o di frontiera e, se del caso, in quale percentuale e con quali strumenti. Queste considerazioni sono lasciate a ciascun lettore individualmente. Il post tratta piuttosto alcuni modi di accedere a questi investimenti, quasi esclusivamente di tipo azionario perché maggiormente in linea con la mia filosofia di investimento e con l’obiettivo di accumulare nel lungo periodo. Molti degli investimenti potrebbero non essere adatti a tutti, non soltanto in relazione alla propria avversione al rischio, ma anche e soprattutto per la facilità di entrarvi/uscirvi attraverso un broker italiano. Se decidete di procedere con questi investimenti, controllate sempre costi (espliciti ed impliciti), liquidità, tassazione individuale, …]
 
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare leggendo le news finanziarie negli ultimi mesi, questo potrebbe essere un buon momento per investire nei mercati emergenti e di frontiera: è infatti proprio quando i mercati hanno una visione pessimista del futuro che le valutazioni sono invece più favorevoli, e per questi paesi oggi lo sono sicuramente più di qualche mese fa. La tabella sottostante mostra infatti come attualmente le valutazioni di questi paesi sono non solo inferiori a quelle delle nazioni più sviluppate, ma spesso anche inferiori alle loro medie degli ultimi anni, mentre per i paesi occidentali vale il contrario.

Fonte: MSCI. 

I mercati finanziari sono spesso orientati al breve periodo (1-2 anni ed anche meno): questo li porta ad essere sensibili, spesso in maniera irrazionale, a quelli che sono considerati dei punti di inflessione, come ad esempio cambiamenti nei tassi di crescita (del PIL, degli utili aziendali, …). A partire dalla scorsa primavera, i mercati sia obbligazionari che azionari hanno infatti reagito in maniera negativa ad una riduzione dei tassi di crescita attesi in EM. Si può avere un’opinione negativa sull’evoluzione a breve di questi paesi ed essere tuttavia positivi sulle loro prospettive di lungo periodo (non parlo ovviamente per quelli che hanno la sfera di cristallo e sanno sempre il momento preciso in cui i mercati cambieranno direzione…). Quello che succede in queste situazioni è il classico esempio della dicotomia tra investire e fare trading: come continuano a ricordarci, i migliori investitori non cercano mai di indovinare il momento giusto in cui entrare o uscire da un mercato, mentre questo è quello che rende ricco un trader.

Vi è poi la differenza tra quelli che sono chiamati il primo ed il secondo livello di ragionamento (Howard Marks docet!). Il primo livello è tipicamente quello dei media: il mercato scende del 5% e tutti si affannano a spiegare perché, immediatamente seguiti dagli analisti (soprattutto quelli che usano l’analisi tecnica) che dicono che il mercato rialzista è finito ed il trend è al ribasso - ovviamente senza mai considerare le valutazioni - , e tutti si affannano a vendere. Il primo livello di ragionamento è anche quello al quale si fermano molti investitori: il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto le stime di crescita al ribasso di un mero 1%, quindi è il momento di entrare nel panico e vendere indiscriminatamente! [NB: ovviamente questo vale anche al contrario, ovvero le stime sono riviste al rialzo di 1% e tutti corrono a comprare per paura di restare indietro]. Il secondo livello di ragionamento, invece, è quello che ci ricorda come il rendimento futuro di un investimento sia in larga parte determinato dal prezzo che si paga, e come spesso il valore (determinato dai fondamentali) diverga dal prezzo di mercato (determinato piuttosto dalla psicologia delle masse).

Detto questo, occorre essere onesti ed ammettere che ci sono alcuni reali punti interrogativi riguardo questi paesi: alcuni mercati emergenti hanno effettivamente avuto performance deludenti, ed in particolare i tanto pubblicizzati BRICs.
  • Il Brasile ha un imponente deficit di bilancio, un’eccessiva dipendenza dai consumi, pressioni inflazionistiche ed un ritorno al nazionalismo che non piace molto agli investitori internazionali;
  • La Russia ha anch’essa problemi di corporate governance, con l’eccessivo intervento del governo nell’economia ed una burocrazia corrotta;
  • L’India ha probabilmente la peggior posizione finanziaria di tutta l’Asia, con il doppio deficit fiscale ed esterno;
  • Infine, la Cina ha un’economia ancora troppo dipendente dagli investimenti e di conseguenza dalla disponibilità di credito, che ha ormai raggiunto livello eccessivi.
Anche tra i paesi di seconda fascia la situazione non è molto migliore: ad esempio, l’Indonesia era fino a poco tempo fa una delle nazioni favorite da tutti gli investitori, mentre nel 2013 i suoi mercati sono crollati, la valuta si è deprezzata e le riserve esterne sono state consumate.

Queste considerazioni ci portano pertanto a cercare di sfatare due luoghi comuni, entrambi errati: 
  1. L’appeal dei mercati emergenti e di frontiera è una storia secolare di crescita, e nessun prezzo è troppo elevato per investirvi! Come tutte le storie di crescita, anche questa sembra sensata, ma è molto pericolosa, perché il prezzo è sempre una variabile importante. È senz’altro vero che questi mercati rappresenteranno una porzione sempre maggiore della torta, sia che si parli di ricchezza, commercio, capitalizzazione di mercato o altro. Ma se un tema d’investimento è secolare, ci si può permettere di aspettare qualche mese - o anche qualche anno – per il momento ed il prezzo giusto. Se si paga troppo, l’investimento può finire bene, ma c’è anche una probabilità maggiore di subire le conseguenze di questo errore!
  2. L’idea stessa di cosa sia un mercato emergente, con il raggruppamento di paesi incredibilmente diversi in un’unica categoria (ancora peggio avviene per i paesi di frontiera). Questa classificazione poteva avere un senso due decenni fa, mentre oggi appare anacronistica. La Corea del Sud è ancora considerata un paese emergente in molti indici azionari, ma sfido chiunque sia stato a Seul a considerare le sue infrastrutture (città, aeroporti, strade, …) come emergenti rispetto a quelli di altri paesi: non solo l’Italia, ma anche gli US sembrano da terzo mondo quando messi a confronto con la Corea.
Questo ultimo punto dovrebbe ricordare agli investitori che la differenziazione tra paesi sviluppati ed emergenti sta diventando sempre più sottile e sta prendendo piede uno spettro più ampio di variazioni in termini di crescita, valutazioni e rischi tra i quali scegliere (dove tra i rischi vi rientrano ovviamente anche quelli geopolitici). Invece di considerare l’allocazione di portafoglio come una scelta tra nazioni sviluppate ed emergenti, la scelta dei singoli paesi (country picking) e dei singoli investimenti (stock picking) diventerà il modo più logico e lucrativo di investire a livello globale. Considerate come riprova la differenza che ha fatto negli ultimi 10 anni investire in Germania, UK o US rispetto all’Italia. Anche se possibile, chi investe in modo passivo allocando tra paesi sviluppati ed emergenti difficilmente riesce a beneficiare di questa disparità. Questo ovviamente richiede maggiore attenzione da parte degli investitori e maggiore ricerca (per chi ha tempo e voglia di farla), che può anche essere limitata semplicemente ai principali indicatori macro-economici di ogni paese. Un buon punto di partenza con una miriade di dati disponibili è Trading Economics.

Per quanto riguarda la scelta degli investimenti, vi sono ovviamente i classici fondi comuni ed in maniera sempre maggiore ETF dedicati. Questi si portano dietro tutti i benefici di questi veicoli (diversificazione, esperienza dei gestori in questi mercati, …), ma anche alcuni inconvenienti già evidenziati in altri post. Gli ETF hanno costi di gestione inferiori (anche se la differenza è meno accentuata nelle strategie su paesi emergenti), ma in mercati meno efficienti la gestione attiva potrebbe (dovrebbe?) avere ancora qualche vantaggio su quella passiva. Inoltre, gli ETF soffrono del non trascurabile problema che investono in quello che è disponibile (ovvero incluso nel benchmark di riferimento) piuttosto che in quello che ha senso (per definizione, un ETF è indifferente alle valutazioni), e questo porta spesso ad allocazioni alquanto bizzarre. 

A mio personalissimo parere, uno dei migliori modi (se non il migliore in assoluto) per investire nei mercati emergenti è attraverso fondi chiusi (closed-end) quotati sui mercati americani e inglesi (alle volte anche in altre piazze europee). Questi sono spesso la replica in forma chiusa dei comuni fondi aperti venduti da tutti i gestori, con almeno due vantaggi: 1) data la loro natura, si può spesso entrare ad uno sconto rispetto al NAV; 2) essendo chiusi, gli investitori non possono abbandonare la nave nei momenti di panico: questo permette ai gestori di investire con una logica di lungo termine, invece che in quello che è di moda al momento, soprattutto per quegli assets che potrebbero essere più difficili da comprare/vendere, come ad esempio private equity, real estate o infrastrutture.

Il mercato americano offre un’ampia gamma di fondi chiusi focalizzati sui mercati emergenti, inclusi fondi obbligazionari, molte volte con una preferenza per una determinata regione o un singolo paese. Tralasciando la difficoltà di accedervi attraverso i broker italiani, non ho mai trovato questi veicoli particolarmente eccitanti: è vero che trattano frequentemente con sconti a due cifre rispetto al NAV (ma si trovano gli stessi sconti se non superiori a Londra), ma spesso usano la leva per migliorare i rendimenti, soprattutto nel caso dei fondi obbligazionari. E la loro situazione dal punto di vista fiscale e della distribuzione dei dividendi è un incubo, anche se siete residenti negli US (a meno che non siate un soggetto esentasse). Al contrario, i fondi di diritto inglese (investment trust) hanno invece un significativo beneficio per gli investitori di lungo termine: poiché la maggior parte di loro è focalizzata sull’accumulazione del capitale, sono un ottimo modo per far lavorare l’interesse composto senza pagare tasse (almeno fino al momento della vendita). Non certo un beneficio da ignorare! 

Il resto del post è dedicato ad un elenco di alcuni potenziali investimenti (fondi chiusi/investment trust/investment companies): per ciascuno di essi è essenziale non fermarsi a quello che dice l’etichetta, ma andare il più possibile in profondità nell’analisi non solo della performance storica su diversi periodi, ma anche del focus geografico, della (eventuale) concentrazione in aziende e/o settori specifici e del peso degli investimenti illiquidi o non quotati. 

Fondi generalisti globali 
Questi veicoli sono il primo punto da cui partire: dopotutto, molti investitori non hanno il tempo, l’esperienza o le conoscenze necessarie per identificare i migliori mercati emergenti/di frontiera.

Il più famoso dei fondi dedicati ai mercati emergenti (che celebra il suo 25esimo anniversario quest’anno) è il Templeton Emerging Markets Investment Trust (TEM:LN), gestito da Mark Mobius.

Altri fondi eccellenti sono Genesis Emerging Markets Fund (GSS:LN), JP Morgan Emerging Markets Investment Trust (JMG:LN) e Advance Developing Markets Fund (ADMF:LN). Quest’ultimo, in particolare, è un fondo di fondi e per quanto non sia certo un fan di queste strutture offre un ulteriore grado di diversificazione, che molti investitori trovano rassicurante. Inoltre, poiché investe anche in altri fondi chiusi, nei momenti di stress dei mercati può offrire un doppio livello di sconto. Un fondo più specializzato è Utilico Emerging Markets (UEM:LN), dedicato ad utilities ed infrastrutture.

Sfortunatamente, non ci sono allo stesso modo molti fondi quotati dedicati ai mercati di frontiera, anche se probabilmente ve ne saranno di più nei prossimi anni: al momento si può scegliere solo tra Advance Frontier Markets Fund (AFMF:LN), il gemello di ADMF qui sopra, e BlackRock Frontier Investment Trust (BRFI:LN).

Infine, una maniera indiretta di investire in questi mercati è attraverso gli asset manager specializzati in questa classe. Due società molto interessanti sono Charlemagne Capital (CCAP:LN), focalizzata sulle azioni, e sopratutto Ashmore (ASHM:LN), inizialmente concentrata sulle obbligazioni ma attiva oggi anche in azioni, infrastrutture ed investimenti non quotati. Tra i gestori tradizionali più conosciuti, Aberdeen Asset Management (ADN:LN) ha un significativo focus sui mercati emergenti, in particolare quelli asiatici. Infine, un’altra opzione è quella di City of London Investment Group (CLIG:LN), che investe sia in mercati emergenti che di frontiera attraverso fondi chiusi (incluse però alcune strategie dedicate ai mercati sviluppati ed alle risorse naturali). 

Asia 
Per chi volesse puntare esclusivamente sulla crescita delle economie asiatiche, alcune idee includono Aberdeen Asian Income Fund (AAIF:LN), Aberdeen Asian Smaller Companies Investment Trust (AAS:LN), Schroder Oriental Income Fund (SOI:LN), Scottish Oriental Smaller Companies Trust (SST:LN) ed Edinburgh Dragon Trust (EFM:LN), anch’esso gestito da Aberdeen. Molto interessante, per il suo approccio più ampio agli investimenti e per il carattere di absolute return, è Establishment Investment Trust (ET/:LN). 

Per chi volesse un’esposizione su uno specifico paese, un accesso diretto alla Cina è dato da JP Morgan Chinese Investment Trust (JMC:LN) oppure da Fidelity China Special Situations (FCSS:LN). Opzioni più esotiche, attraverso investimenti di private equity, sono ARC Capital Holdings (ARCH:LN) e Origo Partners (OPP:LN): il primo si focalizza sul settore dei consumi, mentre il secondo è più orientato all’urbanizzazione ed all’industrializzazione (agricoltura, risorse naturali, energie rinnovabili). 

Per quello che riguarda l’India, le opportunità sono quelle di India Capital Growth Fund (IGC:LN), JP Morgan Indian Investment Trust (JII:LN) e New India Investment Trust (NII:LN). Anche qui sono possibili investimenti più sofisticati, come private equity ed infrastrutture, ad esempio Infrastructure India (IIP:LN), Kubera Cross-Border Fund (KUBC:LN) e EIH (EIH:LN), un fondo di fondi. 

Un altro paese con veicoli dedicati è la Thailandia, con Aberdeen New Thai Investment Trust (ANW:LN) e Symphony International Holdings (SIHL:LN), il cui focus iniziale era la Thailandia ma si è adesso espanso a coprire anche Cina, Turchia ed altre regioni asiatiche con investimenti nei settori della salute ed alberghiero. Per la Corea è disponibile il fondo WeissKorea Opportunity Fund (WKOF:LN). 

Infine, last but not least, il Vietnam (uno dei mie paesi preferiti), con fondi quali Vietnam Holding (VNH:LN), PXP Vietnam Fund (VNF:LN), Vietnam PropertyFund  (VPF:ID), VietnamInfrastructure (VNI:LN) e VinaCapital Vietnam Opportunity Fund (VOF:LN) e VinaLand (VNL:LN), gli ultimi tre gestiti da VinaCapital. 

Africa/Medio Oriente 
Queste regioni offrono al momento minori opportunità rispetto alle altre. Per quanto riguarda il Medio Oriente ed i paesi del Golfo, ho trovato un fondo dedicato al Qatar, QatarInvestment Fund (QIF:LN), ed uno con linee guida più ampie per investimenti in tutta l’area del Golfo Persico, Qannas Investments (QIL:LN). 

L’Africa, pur essendo il continente con le maggiori potenzialità, offre limitate possibilità di investimenti diretti. È infatti considerata ancora troppo “di frontiera”, con mercati poco liquidi, poco profondi e poco trasparenti in termini di governance. Tuttavia, dopo aver fallito varie volte nel passato, questa volta potrebbe essere veramente diverso: il potenziale africano (che non è soltanto legato alle materie prime di cui la regione è ricca) potrebbe veramente liberarsi grazie ad Internet, nuove tecnologie e tecniche di micro-finanziamento. Per chi fosse più intraprendente e volesse “scommettere” sull’Africa, le possibilità includono: Africa Opportunity Fund (AOF:LN), PME African Infrastructure Opportunities (PMEA:LN), ADC African Development Corp (AZC:GR), Cambria Africa (CMB:LN) e Masawara (MASA:LN). 

Esistono ovviamente altri modi per accedere alla storia di crescita africana. Uno di questi è attraverso aziende sudafricane con operazioni nelle regioni limitrofe, avendo il Sudafrica, pur tra molti altri problemi, una corporate governance eccellente di derivazione anglosassone. Una seconda alternativa, ancora più diretta, sono le banche, di solito quotate come public companies: il settore finanziario, assieme a quello dei beni di consumo, è tipicamente tra i primi a beneficiare della maggiore ricchezza della classe media nei paesi emergenti e di frontiera. 

Russia ed Est Europa 
Per chi volesse cominciare con una esposizione diversificata alla regione, un buon punto di partenza sono i fondi Baring Emerging Europe (BEE:LN), BlackRock Emerging Europe (BEEP:LN), Templeton Russia & East European Fund (TRF:US, quotato al NYSE) e JP Morgan Russian Securities (JRS:LN). 

Un’alternativa per chi non fosse interessato all’esposizione preponderante alla Russia è di spostarsi sulle repubbliche ex-sovietiche limitrofe. L’Ucraina, ad esempio, è spesso considerata come un’appendice della Russia, ma ha un settore agricolo molto più sviluppato e produttivo, anche se manca delle risorse naturali della sua vicina (il modo in cui la Russia continua a mantenere vicina a sé l’Ucraina, che invece preferirebbe unirsi all’Unione Europea, è proprio attraverso imposizioni sulle forniture di gas). Un possibile investimento è quindi quello in Ukraine Opportunity Trust (UKRO:LN), che tuttavia è molto orientato verso investimenti non quotati. 

Altre due nazioni che condividono le basse valutazioni e la concentrazione nelle risorse naturali della Russia sono Kazakhstan e Mongolia, dove i mercati finanziari sono tuttavia in una fase ancora più nascente. Origo Partners (OPP:LN), già introdotta, è una società di private equity con investimenti prevalentemente in Cina, ma con una significativa presenza nel settore minerario in Mongolia, mentre Tau Capital (TAU:LN) investe prevalentemente in Kazakhstan. 

Altri possibilità sono: East Capital Explorer (ECEX:SS), quotato a Stoccolma, che investe in aziende sia quotate che private in tutta la regione dell’Est Europa inclusi i paesi balcanici; EnergyOSolutions Russia (EOS:SS), anch’esso quotato a Stoccolma, che investe esclusivamente nell’industria elettrica russa; Aurora Russia (AURR:LN), che ha un portafoglio di investimenti di private equity esclusivamente in Russia; Eastern European Property Fund (EEP:LN), che investe nei mercati immobiliari di Turchia, Romania e Bulgaria, così come fa anche Atrium European Real Estate (ATRS:AV), quotata a Vienna ed attiva nella costruzione e gestione di centri commerciali in tutto la regione orientale. 

Sud America 
L’ultima macro-regione del variegato mondo dei mercati emergenti è l’America Latina dove, stranamente, non vi sono molti veicoli per investimenti diretti: data l’esplosione della regione negli ultimi anni, in particolare del Brasile, mi sarei aspettato di trovare più società quotate con investimenti esclusivi nell’area (al NYSE vi sono effettivamente maggiori opportunità). 

Tra i fondi generalisti, meritano una menzione BlackRock Latin American Investment Trust (BRLA:LN), JP Morgan Brazil Investment Trust (JPB:LN) e Aberdeen Latin American Income Fund (ALAI:LN).

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