lunedì 27 ottobre 2014

Analisi macroeconomica

Una delle cose che si nota più spesso nelle analisi di titoli sottovalutati su blog o club di investimento (uno di questi è il Value Investors Club, già citato qui) è che gli analisti sono molto bravi ad approfondire i fondamentali dell’azienda ma quasi mai hanno la stessa comprensione della situazione macroeconomica.

Capita infatti di leggere di frequente considerazioni sulla falsariga della seguente:
“I mercati emergenti seguono dei cicli economici molto marcati, ed al momento sembrerebbe che siamo nella fase calante del ciclo, in larga parte dovuta al rallentamento della Cina, al tapering della Fed ed a problemi geopolitici (Russia/Ucraina, Siria). Non sono particolarmente preoccupato da questo fatto, perché tutti sanno che i cicli prima o poi cambiano traiettoria.”
Non ho estrapolato questa affermazione per contestarla in sé e per sé (ognuno ha la propria opinione sui mercati emergenti e di frontiera: alcune considerazioni sono corrette, altre completamente sbagliate, e le conclusioni sulla base degli stessi dati possono essere enormemente differenti), quanto piuttosto per commentare il concetto di momento (macro)economico. Gli ultimi 15 anni sono stati un periodo abbastanza unico nella storia dei mercati finanziari. Prima abbiamo avuto lo scoppio della bolla-Internet, seguita in rapida successione dalla formazione di un’altra bolla (questa volta quella del credito) che ha “gonfiato” i prezzi delle aziende nei settori finanziario, immobiliare, delle commodities e non da ultimo dei mercati emergenti. Quando la bolla è inevitabilmente scoppiata nel 2008, i governi e le banche centrali sono intervenuti e rapidamente hanno sostenuto le valutazioni.

Questo ha spinto i rendimenti di azioni cicliche e di bassa qualità, dando agli investitori un’idea distorta e semplicistica di cosa costituisca valore. Molti sono stati portati a credere che “i rischi macroeconomici sono impossibili da prevedere e comunque non importanti, ed anche se fossero rilevanti ci penserebbero Fed/BCE a neutralizzarli.” Chi compra su questa idea di sottovalutazione sta in realtà facendo una scommessa sul fatto che le aziende di bassa qualità continueranno a far bene.

L’esempio più comune è quanto si legge riguardo le aziende legate alle materie prime: “I prezzi sono scesi molto, i multipli sono bassi, ma siamo pur sempre in un super-ciclo delle commodities (???), quindi comprate quello che è cheap e vedrete che vi troverete bene.” La realtà di molte aziende minerarie & energetiche riscontra invece rendimenti del capitale molto bassi, debito elevato e strategie di espansione a scapito della redditività (= pessima allocazione del capitale e distruzione di enorme valore).

È sempre bene ricordare che i fondamentali (comunque definiti) non esistono in un vacuum ed indipendentemente dalle opinioni degli altri. Se abbastanza persone credono in un’idea, questa diventa spesso auto-avverantesi. Se gli investitori cominciano a comprare ABC perché i dati su domanda/offerta indicano che ci sarà carenza di ABC, i loro acquisti possono effettivamente portare alla scarsità di ABC come era nella loro tesi. Questo tipo di feedback – si compra su una storia convincente di fondamentali, che rinforza la storia stessa, che a sua volta rinforza la percezione dei fondamentali – è una caratteristica tipica di ogni bolla. 

Altri esempi. Durante la bolla immobiliare molti investitori ritenevano che le aziende di costruzione avessero elevati ROE grazie all’impatto delle economie di scale. In realtà, guardando alle condizioni macroeconomiche si sarebbe potuto vedere che il ROE era stato sostenuto soprattutto dall’apprezzamento del valore dei terreni (land bank), un evento che difficilmente avrebbe potuto continuare agli stessi ritmi. L’analisi macroeconomica avrebbe anche evidenziato come la spesa per le case era chiaramente fuori controllo rispetto al reddito disponibile per le famiglie. Un altro esempio, sempre riferito a quel periodo, è stato l’investimento in banche nel 2007-2008 anche da parte di molti value investor: l’idea era che la compressione nel ROE sarebbe stata temporanea, che i prezzi scontavano una visione catastrofica di breve e che quindi i prezzi sarebbero risaliti una volta normalizzata la situazione economica. Per alcune banche è stato - in parte - così, per altre (la maggioranza) assolutamente no: gli elevati ROE pre-crisi erano la conseguenza di financial engineering e della vendita di prodotti “esotici” con margini di profitto maggiori, due considerazioni (macroeconomiche) che sono evaporate velocemente e che difficilmente torneranno.

Quindi durante una bolla un investitore che si focalizza solo sui fondamentali non ha un’idea chiara e completa di cosa stia succedendo: l’analisi  macroeconomica diviene necessaria per capire le dinamiche della bolla. Per quanto un fattore molto importante nei mercati finanziari, non confondete sottovalutazione con mean-reverting.

Anch’io sono convinto dell’inutilità delle previsioni economiche (cercare di anticipare l’andamento dell’economia, dei tassi d’interesse e degli utili aziendali è una causa persa in partenza, nonostante molti continuino ad investire su queste basi…), ma analisi macroeconomica e previsioni sono due cose completamente diverse.

L’analisi macroeconomica è molto più che presumere quando la Fed comincerà ad alzare i tassi o quale settore farà meglio nei prossimi 6 mesi. Si tratta piuttosto di identificare titoli/investimenti il cui prezzo è in non-equilibrio rispetto ai fondamentali, esattamente la stessa cosa che fa il value investing. E l’analisi macroeconomica non è in contrasto con quella bottom-up: se si identifica una regione/tema sul quale abbiamo un’elevata convinzione per motivi di tipo macro, la miglior cosa da fare è proprio identificare quali aziende beneficeranno da questo trend, quali trattano a prezzi/multipli più bassi, quali hanno la miglior corporate governance, …

Su questo aspetto, una delle migliori descrizioni dell’uso dell’analisi macroeconomica nel processo di investimento è quella dei fondi Third Avenue:

“Macro has two primary roles in our investment process. The first one is as a tool to determine the sensitivity of our investment theses to a variety of macroeconomic environments. This allows us to reject investment opportunities for which our thesis playing out would require a very specific set of conditions.
The second one is as a frequent source of investment opportunities. Dire economic outlooks have indeed been one of our team’s most fruitful hunting grounds over the years. Troubling macroeconomic situations can easily shake investors (speculators) focused on the near-term outlook and paralyze those who require a high level of confidence in their ability to forecast the macroeconomic future. Truth be told, our habit of seizing opportunity in the face of dire macroeconomic circumstances has occasionally appeared foolhardy in the short-term. Yet, the Fund has made many profitable investments in this way in the past.”

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