lunedì 9 febbraio 2015

È perfettamente accettabile dire: “Non ne ho idea”

Non lo so”. Sentirsi rispondere queste tre parole da qualcuno che gestisce i nostri risparmi non ispira propriamente fiducia. In realtà è una risposta assolutamente accettabile (nonché spesso la migliore) a molte domande che gli investitori continuano a porsi.

Uno dei principi fondamentali dell’analisi bottom-up è di investire sulla base di quello che è conosciuto al momento dell’investimento, piuttosto che su congetture riguardo al futuro, per definizione imprevedibile: fare poche supposizioni rende il processo analitico e decisionale più robusto. Al contrario, le analisi top-down sono per loro natura dipendenti da un gran numero di previsioni sulle quali basare le scelte.

Ci sono vari approcci che possono essere classificati come top-down, ma la classica sequenza del processo decisionale è:

previsione delle variabili (macro)economiche >> previsione degli utili (aggregati ed individuali) >> previsione del prezzo-obiettivo

Come discusso più volte, il track record di economisti ed analisti nel prevedere le principali variabili economiche (compresi i loro punti di inflessione) è a dir poco imbarazzante; se a questo aggiungiamo che hanno completamente mancato le aspettative su molti eventi recenti, non ultimo l’andamento del prezzo del petrolio, qual è la probabilità di concludere accuratamente tutti i passaggi descritti sopra?

Per essere precisi, avere una prospettiva bottom-up non vuol dire non prendere in considerazione le incertezze e le incognite alle quali gli investitori top-down attaccano specifici valori per meglio determinarle; né vuol dire ignorare quei fattori di tipo macro che potrebbero impattare un investimento. Il fatto che una serie di fattori importanti non siano modellabili o determinabili precisamente non vuol dire che non meritano la nostra attenzione: ci sono molti fattori macro (o “esterni”) che anche l’analisi bottom-up dovrebbe comprendere.

  • La sensitività delle attività aziendali e della struttura del capitale a variazione macroeconomiche, per determinare l’impatto di questi cambiamenti sul valore intrinseco. Ad esempio, l’analisi del mix di valute in cui sono denominate le attività e le corrispondenti passività, cercando di stimare il possibile impatto di un repentino cambiamento nei tassi di cambio. Questo è ben diverso dallo stimare il valore di lungo periodo di queste valute come base delle scelte di investimento; piuttosto, è un modo per decidere se ci sono rischi impliciti nelle attività dell’azienda, con l’idea di evitare quelli che non sono appropriati.
  • La situazione politica, in termini della sua importanza sulle scelte strategiche dell’azienda. Questo serve in prima istanza ad evitare di investire in quei paesi e/o settori in cui i “capricci” dei governi possono mettere a rischio l’investimento.
  • La situazione regolamentare che agisce sull’attività aziendale (sia operativa che in relazione ai mercati dei capitali), per decidere se questa giustifica un adeguato livello di protezione per un investitore di minoranza.
Ad esempio, si sente spesso parlare del “rischio di un rialzo dei tassi”. Molti ritengono che tassi d’interesse ed inflazione in crescita non siano un vero pericolo al momento, perché questo non si avvererà se non nel lungo, lungo periodo. Personalmente non ho idea se in futuro (prossimo? lontano?) ci sarà inflazione o deflazione, o se i tassi d’interesse saliranno, e se si di quanto. Sono incline a pensare che entrambi saranno più alti piuttosto che lo status quo continui per sempre, ma il punto è che un conto è avere un’opinione, un altro è investire con la certezza di sapere cosa succederà esattamente.

Chi gioca a poker sa che la cosa peggiore che possa succedere è avere la seconda migliore mano. Se si ha una mano debole (tipo una coppia di due), si tenderà a giocare in maniera difensiva o più probabilmente a passare (a meno che non si stia bluffando), e quindi non si perderà molto. Ma se abbiamo molta fiducia nelle nostre carte, saremo tentati di puntare pesante (o andare all-in) nella convinzione che il nostro punto sia il più forte. Avere un poker di nove è una mano eccellente, a meno che il nostro avversario non abbia scala reale…

Nel mondo degli investimenti, più siamo convinti di qualcosa, e più tenderemo a puntarci. Di conseguenza, chi è convinto che nel futuro ci sarà molta inflazione tenderà a comprare oro e materia prime, mentre chi ritiene che ci sarà ancora soprattutto deflazione farà incetta di obbligazioni a lunga scadenza. Se le previsioni saranno corrette, uno dei due farà avrà degli ottimi rendimenti. Ma chi avrà sbagliato pronostico avrà appunto il problema della seconda mano migliore, e probabilmente ci rimetterà un sacco di soldi (o avrà comunque una performance mediocre).

Le analisi di tipo top-down, oltre a necessitare di molte ipotesi, sono inoltre di tipo estrapolativo (cioè hanno la tendenza ad usare le serie storiche come base delle previsioni): quello che è successo nel passato viene ritenuto la migliore previsione possibile degli eventi futuri. Ma la complessità dell’economia globale è stata accentuata da interventi fiscali e (soprattutto) monetari senza precedenti in ogni regione. Non vi è un singolo periodo passato da poter indicare per dire: “Questo è quello che è accaduto in questa situazione, ed oggi le condizioni economiche sono simili”. Quando è stata ultima volta in cui le economie sono state così overleveraged ed allo stesso tempo sovra-stimolate? Mai. E cosa succederà se e quando la Fed e la BCE toglieranno il loro supporto? Non ne ho idea.

L’incertezza nei mercati è la regola, non l’eccezione: investire richiede sempre umiltà (oggi a maggior ragione) e l’accettazione del fatto che sappiamo molto poco di quello che potrebbe accadere in futuro. È preferibile costruire un portafoglio basato su molti “non so” piuttosto che essere convinti di quello che ci dice la nostra sfera di cristallo, evitando è di andare all-in su un singolo, specifico scenario. 

Un buon investimento è infatti uno che non ha bisogno di circostanze eccezionali per produrre rendimenti decenti.

Un investimento meno buono è uno che poggia la sua tesi sull’avverarsi di un particolare scenario, in genere di tipo macroeconomico, ma che soffre se si realizzano condizioni diverse. Ad esempio, il settore energetico: il petrolio potrà certamente tornare a prezzi più elevati (e probabilmente lo farà), ma questo da solo non è una garanzia che si realizzeranno buoni rendimenti, e sopratutto occorre anche anticipare cosa succederà se lo scenario non sarà quello previsto.

Un pessimo investimento è invece uno i cui risultati si basano sul verificarsi contemporaneamente di varie condizioni che richiedono tutte l’avverarsi del best scenario.

La tesi sulle banche greche si basava, nel migliore dei casi, sul secondo presupposto; nel peggiore, sul terzo.

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