giovedì 9 luglio 2015

Bolla tech? Don’t worry: Andreessen Horowitz dice che va tutto bene…

Dopo la Grecia e la Cina, uno degli argomenti più discussi delle ultime settimane è se vi sia una nuova bolla nel settore tech, soprattutto nei cosiddetti unicorns, ovvero start-up non ancora pubbliche ma che hanno già raggiunto una valutazione implicita di oltre $1 miliardo (quasi sempre senza aver ancora conseguito utili).

Fortunatamente, come riporta questo articolo, Andreessen Horowitz (AH) ci tranquillizza sul fatto che la situazione attuale è di gran lunga migliore della fine degli anni 1990. [AH è una delle più famose società di venture capital al mondo, avendo finanziato tra le tante Facebook, Twitter, Skype, Groupon, Pinterest e Airbnb; precedentemente, uno dei due fondatori, Marc Andreessen, aveva fondato Netscape. Per chi fosse interessato, lo slideshow della presentazione è disponibile qui.]

La loro tesi è che, nonostante l’esplosione di Internet, gli investimenti in tech start-up sono oggi molto inferiori rispetto al periodo della bolla. Inoltre l’indice S&P IT (Information Technology) oggi tratta ad un P/E forward earnings di 16x, rispetto a 39x nel 1999: e questo in un periodo nel quale gli utenti Internet sono cresciuti di 7 volte ed il fatturato dell’e-commerce di 25 volte.

Pur non essendo così competente sul settore come AH, ritengo che alcuni dei meritino qualche commento. Il primo è quello che mostra come, aggiustando per l’inflazione, siamo ben lontani dai livelli di euforia del 1999.


Tralasciando i problemi ben noti sulla misurazione dell’inflazione, la prima cosa che mi viene in mente quando si fa riferimento a grafici come questo è l’argomento che veniva portato 3/4 anni fa a favore dell’oro: nonostante fossimo già in un mercato bull decennale, i supporter del metallo giallo sostenevano che non eravamo in una bolla perché aggiustato per l’inflazione il prezzo non aveva ancora raggiunto il picco precedente. Una versione di questa idea è riportata qui sotto (i numeri esatti dipendono dal periodo di analisi scelto):

Il fatto che il massimo precedente in termini reali non fosse stato toccato non ha impedito all’oro di crollare del 40% dal 2011 ad oggi, e tutto questo nonostante le banche centrali abbiano continuato a stampare enormi quantità di moneta e le tensioni geopolitiche ed economiche che avrebbero dovuto invece favorirlo…

Qualcuno potrebbe obiettare (ed io sono tra questi) che il concetto di “fondamentali” per l’oro è alquanto discutibile, mentre per le aziende quello che importa sono gli utili/flussi di cassa generati. Anche da questo punto di vista AH ci suggerisce di non preoccuparsi.


Nessun dubbio: i multipli forward sono stati nel passato decisamente più elevati, e nessuno oggi prevede un crollo di 80% come nel 2000. Ma anche una correzione di “solo” 40% non sarebbe certo divertente.

Quello che bisogna fare con queste affermazioni, tuttavia, è metterle in prospettiva, ovvero paragonare il multiplo forward di circa 20x (linea arancio) con quello trailing basato su quello che effettivamente è stata guadagnato negli ultimi 12 mesi: questo ci permette di quantificare il possibile ottimismo nelle previsioni degli analisti (come se non succedesse mai…). Facendo dei veloci calcoli bottom-up (dividendo la capitalizzazione totale di tutte le aziende nell’indice S&P IT per la somma di tutti gli utili realizzati nell’ultimo anno) sono arrivato ad un P/E trailing di 25x. Questo valore è però “distorto” da giganti come Apple, Microsoft, Google, IBM ed Intel che non solo trattano a multipli più contenuti, ma hanno anche enorme liquidità (queste 5 aziende pesano da sole per il 45% della capitalizzazione dell’indice ma per il 60% degli utili): utilizzando una semplice media aritmetica (non ponderata) porta ad un P/E trailing di 48x. Un multiplo di 25x non è certo eccessivo, ma nemmeno a buon mercato: con una crescita attesa degli utili del 25% viene da chiedersi chi tra i venture capitalists ed il sell-side sia più ottimista. [Nota: i numeri di Bloomberg e di S&P sono sempre pesati per la capitalizzazione, ma credo che anche AH utilizzi una media semplice perché il P/E forward riportato da S&P è 16x e non 20x come nel grafico.]

Ma c’è di più, tipo quest’altro grafico:


“Piatto” (come aggettivo, non come nome) può anche essere soggetto ad interpretazione, ma passare da 15% a 20% è un incremento di un terzo, quindi non proprio un esempio di stabilità. Più importante è ricordare che la bolla Internet è stata molto diversa dall’esuberanza attuale: all’epoca la sopravvalutazione era infatti concentrata nei settori IT e telecom, mentre gli altri segmenti del mercato, al contrario di oggi, erano a buon mercato. Quale sarebbe stata la percentuale di aziende IT nell’indice S&P 500 se nel 1999-2000 il resto del mercato fosse stato valutato come oggi?

Alla fine del 1999 l’intero indice S&P 500 aveva un P/E trailing di 29x, mentre il solo settore IT era su un P/E di 65x: applicando la percentuale di 30% come dal grafico di AH si può ricavare che all’epoca il mercato ex-tech trattava ad un P/E di 13,6x, inferiore alla media storica e ben più basso, ad esempio, del 2008.

Il passo successivo è di determinare quale sarebbe stato il peso del settore IT nel 1999 se il resto del mercato avesse trattato ai multipli odierni (oggi il P/E trailing dell’indice S&P 500 è circa 20x, mentre quello ex-tech è 19x): di nuovo, con un po’ di algebra si può calcolare che tale percentuale sarebbe stata di 22%. Questo valore è molto vicino alla quota attuale di 20% nel grafico precedente, e confuta gran parte della tesi proposta: ceteris paribus, il peso del settore tech è oggi simile ai livelli della bolla. Inoltre, se dal 2009 – cioè in un mercato rialzista - la quota di IT è aumentata all’interno di S&P 500 vuol dire che le valutazioni in IT sono cresciute proporzionalmente anche più che nel resto del mercato. E dimostra inoltre ancora una volta come siano fuorvianti le valutazioni corrette per l’inflazione.

Ovviamente, nessuna discussione del settore sarebbe completa senza un qualche riferimento alle enormi potenzialità dei mercati di sbocco.


Prima osservazione: penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che l’investitore medio nel 1999 abbia “azzeccato” la tesi sulla crescita futura, poiché il numero di persone online è aumentato di 6 volte dall’inizio del nuovo millennio. Nonostante questo, l’indice del settore IT non è andato da nessuna parte (esibendo al contempo enorme volatilità), dimostrando ancora una volta che nel lungo periodo la variabile più importante sono le valutazioni iniziali.

Va notato, inoltre, come la maggior parte della crescita sia ormai alle nostre spalle ed il suo impatto già nei numeri (contabili). Se i dati precedenti sono corretti, salire da 3 miliardi di persone online oggi a 4 miliardi nel 2020 vuol dire una crescita annua inferiore a 5%: numeri decenti, ma ritengo che il mercato si aspetti di più e che le valutazioni attuali implichino una progressione ben superiore. E non dimentichiamo il fatto, molto probabile, che la crescita degli utilizzatori potrebbe non tradursi nella stessa crescita per fatturati ed utili (in aggregato), data l’enorme competizione e la costante riduzione dei prezzi dei prodotti/servizi per i clienti finali.

Un venture capitalist come AH sa perfettamente che una crescita del 5% non è qualcosa che fa salivare i tipi della Silicon Valley, e quindi aggiunge gli immancabili smartphones per i quali la crescita attesa è superiore (ma comunque limitata a circa 12%) grazie ad una sempre maggiore convergenza: nel 2020, chiunque sarà online avrà anche uno smartphone.

Come premesso, so molto poco dell’industria tech: non ho idea da dove vengano o di quanto affidabili siano queste statistiche. Credo però che sia evidente a molti come ormai praticamente tutti abbiano uno smartphone, indicando che lo spazio per questa convergenza è minore di quanto si creda. E questo vale anche per la maggior parte dei paesi emergenti. Quest’altra slide (presa da un’altra presentazione di AH) mostra come in Cina ci siano già 550 milioni di persone che accedono ad Internet dal cellulare (presumo quasi tutti smartphones), ovvero quasi il doppio dell’intera popolazione americana. Quanti altri utenti aggiuntivi ci potranno essere in Cina? Di nuovo, paesi come India, Vietnam e l’Africa potrebbero crescere a tassi più sostenuti, ma gran parte dei benefici della penetrazione di Internet e smartphones sono già “nei numeri”: è possibile (probabile?) che il futuro sarà caratterizzato da un’accesa guerra di prezzi, piuttosto che da un mercato in forte espansione nel quale c’è posto per tutti.


Infine, un altro ottimo spunto è quello sollevato dall’autore dell’articolo di Forbes verso la fine:
While it is true that today’s tech P/E multiples are closer to the early 1990’s than the late 1990’s, a big part of that is because so few of the unicorns have gone public. So is it really an apples to apples comparison? Moreover, while it is true that public equity investors were the main beneficiaries of stock price run-ups for companies like Amazon and Microsoft, they also were the primary losers when a wider swath of VC-backed tech companies collapsed in late 2000 and 2001. When trying to understand the current lack of unicorn IPOs, one common explanation is that these companies, while typically older than 1999 IPO issuers, share traits like unprofitabilty and immature corporate governance. What if VC firms like Andreessen Horowitz are nearing the same type of inflection point that public equities investors hit in late 2000? Different but the same? The flip-side of hoarding value appreciation by keeping companies private is that you’re also increasing risk.”
L’evidenza aneddotica degli ultimi mesi suggerisce proprio che la bolla nei mercati “private” sia in effetti ancora superiore a quella nei mercati pubblici. AH prova di nuovo a rassicurarci mostrando un altro grafico, dal quale si evince che gli unicorns sono solo una goccia nel mare delle aziende tech: tutti assieme non raggiungono nemmeno la capitalizzazione di Facebook. È vero che questi unicorni hanno delle sfide specifiche per quello che riguarda la loro valutazione, ma una sana dose di scetticismo non dovrebbe limitarsi a loro: la stessa Facebook è in una situazione simile, con un P/E trailing di 80x e forward di 50x, considerando che la crescita recente ha lasciato molto a desiderare (come per Twitter).

Oppure prendiamo Amazon, già discussa e che come cliente adoro: è “matura” (almeno per gli standard del settore tech) ed è decisamente “disruptive” per molte altre aziende, ma il dibattito è ancora aperto sul fatto se riuscirà o meno ad accrescere i suoi utili per giustificare la valutazione corrente. È ovviamente possibile che dopo aver spinto fuori dal mercato la concorrenza Amazon riesca a migliorare i profitti aumentando i prezzi di qualche centesimo qui e là, ma è tutto da vedere come reagirà il volume di ordini se gli aumenti dovessero essere superiori. Poiché nessuno, nemmeno Jeff Bezos, sa esattamente come rispondere a questa domanda, si potrebbe dire che anche la valutazione di Amazon (ed altre aziende) richiede un certo grado di “fede” come per gli unicorni.

Conclusioni
La presentazione di AH è molto interessante perché offre un’eccellente introduzione al settore tech: ci sono molti grafici che non ho discusso ma che offrono ottimi spunti per gli investitori. 

Le slides sono piene di numeri e statistiche che sottointendono e giustificano le attuali valutazioni. Certamente, siamo ben lontani dai livelli del 1999 e molti altri mercati sono ancora più “spumeggianti”, tanto che al confronto Apple, Microsoft e Google sembrano value stocks. E gran parte degli eccessi sono nei mercati privati/pre-IPO, non in quelli pubblici.

Quello che AH non considera, però, è che molte delle singole valutazioni non sono in realtà indipendenti, ma soggette implicitamente ad un “feedback loop”: ad esempio il numero di profili attivi su Facebook utilizzato per giustificare il potenziale di Twitter o di qualsiasi altra impresa basata sul concetto di network/condivisione dati. Scommetto che AH utilizza spesso metriche come “capitalizzazione per numero di utenti” per mostrare come business che non producono utili valgono comunque miliardi di dollari. Per essere chiari: questo tipo di feedback loop è comune in moltissime situazioni, ma è molto più pericoloso quando le valutazioni non sono supportate da veri utili e cash flows.

Non sto pronosticando un crollo imminente (non mi interessa farlo né tantomeno ne sono capace), ma da osservatore cinico dei mercati finanziari leggere queste slides ha confermato la mia idea che le valutazioni nel settore tech non sono attualmente a buon mercato, e soprattutto che la crescita reale ex-post potrebbe essere ben inferiore a quanto molti si aspettano oggi.

Nessun commento:

Posta un commento