venerdì 4 settembre 2015

Upside/downside capture

Con l’aumento della volatilità e delle notizie negative nel mese di agosto, sono (ri)cominciati i classici articoli su cosa fare per proteggersi dai crash dei mercati azionari. La risposta in genere è sempre la stessa: diversificazione.

L’idea è di essere esposti a più asset class sulla base della loro (presunta?) bassa correlazione con le azioni. Grazie al fatto che oggi molte strategie sono accessibili anche per il retail, negli ultimi anni gli investitori sono diventati sempre più sofisticati, aggiungendo alle normali azioni ed obbligazioni anche strumenti più “esotici”: commodities, valute, hedge funds, private equity, altri investimenti illiquidi, …

C’è però un problema: la diversificazione non è una bacchetta magica! Molti continuano a credere (ed a vendere la convinzione) che diversificare significa che il valore del portafoglio non diminuirà mai. Centinaia di studi dimostrano invece che le correlazioni tra le varie classi non sono costanti nel tempo, e soprattutto che nei periodi di crisi tendono a muoversi verso l’unità: questa diversificazione naïve funziona in maniera approssimativa esattamente quando servirebbe di più, ovvero nei momenti di stress. L’esempio più eclatante è proprio quello del 2007-2008, quando mercati che prima si ritenevano non correlati crollarono tutti assieme.

Un approccio per analizzare questa situazione è quello della upside/downside capture: in pratica si tratta di determinare quale percentuale dei rialzi e dei ribassi nei mercati azionari viene “catturata” da una particolare asset class.

Metodologia. Il punto di vista è quello di un investitore la cui valuta di base è l’euro (anche se unhedged): per evitare l’impatto delle oscillazioni valutarie, tutti i rendimenti sono stati calcolati in euro su base mensile dal dicembre 1998. Cambiando la valuta di riferimento i numeri (e talvolta le conclusioni) cambiano, soprattutto per quelle strategie nelle quali la componente dollaro è preponderante o che sono più legate all’andamento del biglietto verde. USD ed EUR si comportano infatti in maniera differente in situazioni di rialzo e ribasso: USD (così come CHF) sono viste come “safe currencies” e quindi tendono a far bene quando le azioni soffrono; EUR (così come AUD e CAD) sono invece “high beta currencies” e tendono a far meglio quando le azioni vanno bene.

Nei mesi nei quali i mercati azionari (rappresentati dall’indice MSCI World) hanno un rendimento positivo (negativo) viene preso il corrispondente rendimento delle diverse strategie: il rapporto tra le due medie nei mesi positivi è l’upside capture, quello nei mesi negativi è la downside capture.

Esempio. Nei mesi di rialzo l’indice MSCI World ha avuto una performance media di +10%, mentre un indice di commodities ha avuto una performance media di +8%; l’upside capture per le commodities è quindi 80%. Al contrario, nei mesi di ribasso dei mercati azionari l’indice MSCI World ha avuto una performance media di -10%, mentre un indice di obbligazioni ha avuto una performance media di +2%: la downside capture è quindi -20% per le obbligazioni (ovvero le obbligazioni si muovono in direzione opposta rispetto alle azioni).

Il grafico sottostante riporta i risultati sull’intero periodo, dal dicembre 1998 ad agosto 2015.


Fonte: S&P, MSCI, Merrill Lynch, World Bank e Credit Suisse Tremont. In blu le strategie azionarie, in verde quelle obbligazionarie, in arancio le material prime, in viola gli hedge funds.

Come si può vedere, su lunghi periodi ci sono varie asset classes che offrono protezione dal ribasso delle azioni (downside capture vicina a zero o negativa), ma sono poche le strategie che offrono protezione senza sacrificare l’upside: molte di queste sono infatti prossime alla linea a 45°, ovvero partecipano in maniera simmetrica in mercati bull&bear.

In alto a sinistra, in rosso, ho aggiunto anche due assets speciali: uno non-correlato (ha 0% della discesa dei mercati azionari ma mantiene il 100% dei rialzi) ed uno ideale (mantiene sempre il 100% dei rialzi ed in più ha una downside capture di -50%). Per un investitore in euro, nessuna strategia si avvicina particolarmente a questa situazione.

  • Azioni (per regione/capitalizzazione). Aggiungere un portafoglio composto su base regionale (Europa/US/Giappone) non offre nessuna diversificazione rispetto ad un portafoglio globale: la loro performance segue fedelmente i mercati mondiali sia al rialzo che al ribasso. I paesi emergenti e le small-cap sono invece una leveraged bet su mercati in aumento (hanno upside capture superiore a 100%: risultato atteso e non sorprendente), ma soprattutto gli emergenti non sembrano offrire alcuna protezione al ribasso: anche questa è una conclusione non sorprendente, le fortune di questi paesi dipendono sempre e comunque da quelle dei paesi più sviluppati, il famoso decoupling non c’è stato e forse non si materializzerà mai.
  • Obbligazioni. Gli asset con la maggior correlazione negativa con le azioni sono i bund e gli altri titoli di stato dei paesi sicuri, oltre ovviamente alla liquidità: i bund hanno risultati migliori nei ribassi grazie alla loro maggiore duration, ed anche queste conclusioni erano prevedibili. I BTP aiutano a compensare i ribassi azionari, anche se alla fine si comportano in maniera molto simile alle obbligazioni corporate (sono infatti credit instruments con elevato rischio di emittente). Altre strategie (high yield, mercati emergenti) non offrono la stessa copertura: potremmo dire che hanno un beta positivo ma inferiore ad 1, sono assets rischiosi che nei periodi di crisi si comportano come tali piuttosto che come beni rifugio come i bund. Nel grafico, la miglior performance del debito dei paesi emergenti rispetto a high yield è dovuta alla predominante componente in dollari nell’indice utilizzato.
  • Commodities. Su periodi sufficientemente lunghi, l’oro è un buon diversifier: offre maggiore protezione dei bund con upside leggermente migliore. Un po’ a sorpresa (almeno per me), il petrolio fa ancora meglio, anche se il mio sospetto è che per entrambi sia dovuto all’impatto di USD. Un generico indice di commodities ed i beni agricoli non hanno invece un profilo particolarmente interessante in termini di pura diversificazione.
  • Hedge funds. In aggregato, gli hedge funds non sembrano la panacea che molti credono. Alcune strategie (macro, managed futures) sono effettivamente de-correlate con i mercati azionari, soprattutto quando questi ultimi scendono; altre (market neutral) sono appunto invece “neutrali”, come era prevedibile. Chi conosce queste strategie sa che la loro attrattiva non è di “avere rendimenti positivi in qualsiasi situazione di mercato” (chi le propone con questa tesi è un cialtrone), perché hanno comunque un qualche legame con i mercati nei quali investono, e soprattutto con quelli azionari. Chi fosse interessato ad aggiungere queste strategie al proprio portafoglio dovrebbe farlo nell’ottica di “attenuare” la volatilità senza rinunciare troppo all’upside dei mercati azionari. [Nota: gli indici di hedge funds soffrono di molti bias nella loro costruzione, ancora superiori a quelli di indici azionari ed obbligazionari: le conclusioni riportate devono quindi essere prese cum grano salis.]
Quanto detto vale su lunghi periodi (16 anni e mezzo in questo caso): ma cosa succede su periodi più brevi, in particolare se ci limitiamo all’analisi dall’inizio dell’ultima crisi (2007) come nel seguente grafico? 

In questo caso si potrebbe dire che siamo in un “nuovo normale”, e che l’intervento massiccio e congiunto delle banche centrali ha aumentato le correlazioni tra tutti i mercati (siamo in una situazione permanente di “risk-on/risk-off”): tutte le strategie si sono “schiacciate” sulla linea a 45°! Le obbligazioni sicure hanno continuato ad essere un bene rifugio rispetto ai mercati azionari, mentre gli hedge funds non hanno rispettato le loro promesse: sono andati più o meno male come le azioni nei momenti di panico, e sono saliti più o meno come le azioni nei momenti di recupero. L’oro ha continuato a fare il suo lavoro di diversifier, ma bisogna guardare bene come si è comportato in termini assoluti: nei primi tre anni (2007-2009) è salito rapidamente mentre i mercati azionari crollavano; ma da allora la sua traiettoria è stata in discesa mentre le azioni recuperavano e superavano i massimi precedenti. Attenzione a ricercare assets negativamente correlati con le azioni: è vero che “vanno bene quando le azioni vanno male”, ma nel lungo periodo il loro andamento inverso è un fardello sulla performance complessiva del portafoglio (proprio come è stato l’oro negli ultimi anni…).

Quando 30/40 anni fa i gestori cominciarono ad aggiungere azioni/obbligazioni internazionali ad un portafoglio di titoli domestici (e poi asset classes più complesse), la diversificazione migliorò perché le correlazioni cross-market erano basse. La progressiva globalizzazione dei mercati, combinata con gli interventi delle banche centrali e l’ingegneria finanziaria, hanno tuttavia drammaticamente ridotto l’effetto di diversificazione tra i diversi segmenti del mercato.

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