lunedì 22 agosto 2016

Capital allocation (I)

Oltre a Capital Returns, un altro famoso libro su come le aziende allocano il capitale è The Outsiders di William Thorndike.

Capital allocation si riferisce a come il management impiega i profitti generati dall’attività operativa, ed è uno degli elementi più importanti (se non il principale) nella creazione di valore nel lungo periodo.

“The lack of skill that many CEOs have at capital allocation is no small matter: after ten years on the job, a CEO whose company annually retains earnings equal to 10% of net worth will have been responsible for the deployment of more than 60% of all the capital at work in the business. (Warren Buffett)”

Ci sono essenzialmente 5 opzioni a disposizione del management:
  1. Reinvestire per mantenere/accrescere le attività esistenti (infrastruttura, distribuzione, R&D, marketing, …)
  2. Espandere il business con operazioni di M&A
  3. Ripagare le passività (debiti finanziari, fiscali, pensionistici, …)
  4. Pagare dividendi (o riacquistare azioni)
  5. Lasciare la liquidità in cassa
Se allarghiamo l’operatività all’intero capital management, ci sono ulteriori opzioni, come ad esempio emettere debito o azioni, oppure vendere parte delle attività attraverso spin-off, cessioni, …

Il punto centrale è che in aggregato le aziende hanno un track record mediocre in queste operazioni. Storicamente, le aziende quotate generano rendimenti sul capitale reinvestito che supera solo di poco il costo del capitale; riacquistano azioni a prezzi che implicano rendimenti non superiori al resto del mercato; e fanno acquisizioni che distruggono valore più spesso di quanto ne creino. Questo non vuol dire che queste aziende siano stupide, semplicemente che il rendimento di molti progetti, ancorché positivo, è più o meno uguale a quanto richiesto: non c’è excess return. Lo stesso si può dire della gestione di portafoglio: molti ottengono rendimenti positivi, pochi battono il mercato.

Tuttavia, alcune aziende, alcuni manager, in determinate condizioni, riescono a generare extra-rendimenti. Quindi, chi è considerato un buon capital allocator?

Warren Buffett
Per sua stessa ammissione, la sua abilità risiede non nel gestire le aziende acquistate meglio del management esistente, ma nell’indirizzare il capitale verso quelle che considera le migliori opportunità: la prima richiesta di Buffett ai manager delle controllate è di mandare tutto il capitale in eccesso (rispetto a quanto necessario per l’attività operativa) al quartier generale.

“The primary management activity at Berkshire is capital allocation. Proper allocation of capital is an investor's number one job. (Charlie Munger)”
Nella sua storia, Buffett ha sfruttato al meglio tutte le opzioni disponibili:
  • Ha lasciato che la liquidità si accumulasse finché non ha trovato qualcosa che valesse veramente la pena acquistare
  • Non ha mai pagato dividendi, perché li ritiene inefficienti dal punto di vista della tassazione
  • Non ha mai riacquistato azioni in grandi quantità, perché ritiene di poter ottenere migliori rendimenti reinvestendo (anche se negli ultimi anni si è impegnato a riacquistare azioni ad un prezzo inferiore ad un P/BV di 1,2x)
  • Non esita ad utilizza il debito, ma lo fa attraverso obbligazioni non-recourse a livello delle controllate, oppure sfruttando l’effetto leva implicito nel float delle assicurazioni
  • Non ha mai venduto un business che controllava al 100% (vado a memoria, perdonate se è sbagliato) se non per ottenere qualcosa in cambio, come nel caso di Graham Holdings/Washington Post 
  • Fa crescere i business in maniera organica, ma anche con operazioni di M&A: ad esempio, nel corso degli anni Mid-American Energy ha acquistato pipeline per la trasmissione del gas (Kern River Gas Transmission, Northern Natural Gas) ed altre utilities (PacifiCorp, NV Energy)
  • È focalizzato sul rendimento degli investimenti (ROE) e sulla crescita per azione (infatti non ha praticamente mai pagato in azioni di Berkshire Hathaway), non sulla crescita in termini assoluti o contabili
  • I suoi interessi sono allineati con gli altri azionisti: non solo è il principale azionista di BRK, ma il suo salario come CEO è molto modesto ($100.000, invariato da 25 anni)

Henry Singleton
Forse meno conosciuto di Buffett, ma con un track record altrettanto autorevole, è un altro dei CEO inclusi in The Outsiders, e la sua storia è ben descritta in questo articolo

Riassumendo, il suo successo è stato dovuto a:

  • Quando il prezzo di Teledyne era elevato, ha utilizzato le azioni per le acquisizioni
  • Quando il prezzo scese, preferì ricomprare le azioni (riducendone l’ammontare in circolazione fino al 90%) utilizzando anche il debito (nota: Singleton non ha venduto una singola azione che possedeva mentre l’azienda le stava riacquistando, una forma di self-enrichment invece comune per molti CEO)
  • Non ha reinvestito molto nei business sottostanti, ma ha preferito utilizzare i flussi di cassa generati per acquistare altri business o azioni proprie
  • Ha utilizzato spesso gli spin-off
  • Non ha mai pagato un dividendo: il suo ragionamento, come per Buffett, è che un dollaro di cashflow era più produttivo se reinvestito piuttosto che passato agli investitori
  • Ha accumulato la liquidità prima di allocarla agli investimenti
  • Si è focalizzato su valore per azione, non sugli utili contabili
  • Aveva una partecipazione significativa nell’azienda e non si è mai pagato una salario eccessivo

John Malone
Anche la storia di John Malone è narrata in The Outsiders, oltre che in Cable cowboy:

  • Non ha mai pagato un dividendo e praticamente non ha mai generato profitti contabili
  • Ha sempre utilizzato la leva finanziaria in maniera aggressiva
  • Si è focalizzato solo sui settori che conosce bene (cable e media): dopo ogni acquisizione, ha ridotto i costi al minimo possibile eliminando ogni attività superflua
  • Ha utilizzato spesso swap azionari e spin-off
  • Ha una partecipazione significativa nella sua azienda (Liberty Media)
Nell’ultimo bilancio aziendale ha riassunto così la sua filosofia:
“Our operating philosophy is built on the core value drivers of:
- Patiently investing in great businesses where the margin of safety is compelling; identifying asymmetric upside, while ensuring our agility to protect against the unforeseen
- Identifying and backing strong operating company leaders and setting a productive ownership tone
- Allocating capital and setting efficient financial policy
- Structuring financings and transactions
- Ensuring tax efficient acquisition, operation and monetization of assets
While this may sound simple enough, few public companies have achieved the level of long-term, investor-friendly execution that has been the hallmark of Liberty for its twenty five year existence. […] Looking forward, we will focus on the factors within our control, react to opportunities as they present themselves, and allow market “noise” to be just that. The core value drivers described above will continue to guide our decision making and we aim for our equities to compound intrinsic value at attractive rates.”
Björn Wahlroos
Nome sconosciuto ai più, è il presidente ed ex-CEO di Sampo, la principale assicurazione finlandese. [Le seguenti considerazioni sono prese da una delle lettere di Marathon Asset Management in Capital Returns.]

Wahlroos è arrivato a Sampo nel 2001 a seguito della cessione di Mandatum, la sua boutique di investimenti, per €400 milioni: poiché l’operazione fu fatta in azioni, il 30% di Wahlroos in Mandatum si trasformò in una partecipazione del 2% in Sampo. In realtà fu a tutti gli effetti un reverse take-over, con Wahlroos che divenne CEO dell’intero gruppo.

All’epoca Sampo era un misto di banca ed assicurazione, e tra i vari assets aveva anche 1% di Nokia, per un valore di €1,5 miliardi equivalente al 22% del NAV di Sampo: la prima azione di Wahlroos fu di cedere quasi completamente questa partecipazione ad un prezzo medio di €35 (eccellente scelta visto l’andamento di Nokia dal 2001 ad oggi).

Le decisioni successive furono di unire le attività danni (P&C) di Sampo in Finlandia - dominanti ma ormai mature - con quelle di If: Sampo ottenne una partecipazione del 38% nella joint venture (oltre a metà dei diritti di voto e €170 milioni in contanti), gruppo che aveva una quota di mercato del 34% in Finlandia, 37% in Norvegia, 23% in Svezia e 5% in Danimarca. Grazie a questa posizione dominante ed al conseguente pricing power, il combined ratio dell’assicurazione fu ridotto da 105% nel 2002 a 90% nel 2005. Approfittando dei problemi del partner, nel 2003 Sampo salì al 100% in If ad una valutazione di €2,4 miliardi (oggi vale probabilmente almeno €10 miliardi).

In seguito, appena prima della crisi del 2007, Sampo vendette le sue attività bancarie a Danske Bank per €4,1 miliardi in contanti, liquidità che è stata nel tempo reinvestita in una partecipazione del 20% in Nordea: le attività bancarie finlandesi furono vendute ad un P/BV di 3,6x (pre-crisi), mentre Nordea è stata acquistata ad un P/BV di 0,6x (post-crisi).

Altre decisioni strategiche: prima del crollo di Lehman Brothers, Sampo diminuì gli investimenti azionari a solo 8% del portafoglio mantenendo al contempo gran parte dell’allocazione in strumenti obbligazionari liquidi. Questo le permise di investire oltre €8 miliardi in crediti commerciali nell’autunno del 2008 a rendimenti di oltre 8% (ad esempio nella principale azienda cartaria finlandese UPM-Kymmene): il profitto dopo solo due anni fu di €1,25 miliardi.

C’è un filo comune?
In questo ristretto gruppo ci sono chiaramente delle differenze: Berkshire Hathaway e Teledyne sono (erano) conglomerate, mentre Malone si è focalizzato su cable & media e Wahlroos sulle assicurazioni. Allo stesso tempo, Buffett ha cominciato comprando azioni ed oggi acquista intere aziende, mentre Singleton ha fatto il contrario.

Ci sono però anche molte similitudini. La prima è che questi manager comprendono a pieno il ciclo del capitale ed investono in maniera contro-ciclica. Il problema è che non tutti i CEO hanno le conoscenze e capacità per farlo: come ricorda proprio Buffett:

“The heads of many companies are not skilled in capital allocation. Their inadequacy is not surprising. Most bosses rise to the top because they have excelled in an area such as marketing, production, engineering – or sometimes, institutional politics.”
Altre similitudini:
  • Tutti hanno un orizzonte di lungo periodo
  • Tutti hanno una significativa partecipazione nelle aziende che gestiscono, il modo migliore per allineare gli interessi con quelli di tutti gli azionisti (a differenza delle opzioni che sono continuamente ri-prezzate)
  • Sono tutti attenti ai costi: niente sedi sfarzose, niente jet privati
  • Sono tutti attivi nel mercato di M&A, e sono capaci di utilizzare le varie forme di finanziamento (equity, debito, float)
  • Non si preoccupano di avere utili che crescono in maniera regolare per far contenti gli analisti, e spesso ignorano completamente i risultati contabili: il vero focus dei risultati è ROIC/ROE
[Nota: anche tra i gestori che battono il mercato sono riscontrabili alcuni tratti comuni]

Conclusioni
Il processo di capital management da solo non è una garanzia di successo. Si può essere un bad capital allocator e nonostante questo fare soldi perché si è nel settore giusto al momento giusto (tecnologia); ed al contrario si può essere competenti e soffrire perché il ciclo è negativo nella tua industria (Loews, Leucadia, Kennedy Wilson Europe). Nel lungo periodo, tuttavia, esiste una forte correlazione tra la capacità di allocare il capitale ed il successo dell’azienda.

Senza un vero allineamento degli interessi, capital management rischia di essere casuale: CEO con grossi pacchetti di opzioni che scadono tra 2/3 anni spesso prendono decisioni che sono dannose nel lungo periodo. Ma anche avere un CEO che ha un considerevole investimento nell’azienda non è una garanzia (vedere Dick Fuld a Lehman Brothers).

Ed infine, “talk is cheap”: sempre più CEO citano Warren Buffett nelle loro lettere agli azionisti, ma dire qualcosa e metterla in pratica sono due realtà differenti. Quindi controllate se fanno effettivamente quello che dicono: le operazioni di M&A sono state fatte nel 2007 e nel 2015 come tutti, o nel 2009 e nel 2012 (contro-cicliche)?

PS: per riassumere il tema consiglio anche questo video di una chiacchierata di William Thorndike @Google, anche se il commento su Valeant non si è rivelato molto corretto (
è stato registrato lo scorso ottobre).

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