martedì 23 agosto 2016

Capital allocation (II): Errori e buybacks

Come spesso accade in finanza, non esiste una formula univoca per determinare chi è un buon capital allocator, ma è più facile definire chi non lo è.

La lista di “errori” è quasi infinita, tra i più comuni vi sono:
  • Ri-comprare azioni proprie attorno ai massimi finanziandole con debito (tutte le banche pre-2008)
  • Ricercare crescita e/o diversificazione in mercati poco conosciuti on non-strategici (Ahold ad inizio anni 2000 e Tesco nel 2006, entrambe in US)
  • Massicci investimenti in capex al picco del ciclo (energy & miningshare oil, Petrobas, Vale)
  • Operazioni di M&A al picco del ciclo (Fortis/RBS/ABN Amro, Siemens, private equity)
  • M&A come unica strategia di crescita (Tyco, Valeant)
  • Pagare elevati dividendi finanziati dal debito (molte utilities)
  • “Finti” spin-off (YieldCo. per progetti di energie rinnovabili - SunEdison/TerraForm)
  • Aumenti di capitale in situazioni di distress (banche italiane, RCS)
  • Investire in quartier generali sfarzosi o in “trophy assets” (Swatch ha acquistato un palazzo nel centro di Zurigo per CHF 450 milioni)
  • Tentare di trasformare l’azienda attraverso una serie di acquisizioni (HP)
  • Svendita di assets per evitare il default sul debito (Valeant?)
Caso speciale: share buyback
Contrariamente a quello che molti ritengono, non vale in maniera automatica l’equazione:

Riacquisto di azioni = eccellente allocazione del capitale
Nell’articolo nel post precedente su Henry Singleton, Leon Cooperman dettaglia in maniera perfetta 4 differenti tipi di buyback:
  • Tipo I: per ridurre l’impatto delle opzioni. Il management non ha alcuna opinione sul valore intrinseco dell’azienda, ma cerca semplicemente di bilanciare l’effetto delle opzioni esercitate dai dipendenti.
  • Tipo II: per “aiutare” i manager che voglio esercitare le loro opzioni. Questo è un comportamento scorretto e ben peggiore del precedente: le aziende riacquistano azioni solo per consentire ai manager che vogliono esercitare le loro opzioni di ottenere prezzi più alti di quello che altrimenti riceverebbero.
  • Tipo III: per “restituire” capitale in eccesso agli azionisti. Anche in questo caso il management non ha un’opinione specifica sul valore dell’azienda, ma semplicemente ha più capitale di quello che serve per l’attività operativa e preferisce rimborsarlo tramite il riacquisto di azioni invece che attraverso i dividendi (aumentare i dividendi è una specie di impegno “morale” a mantenerli ai livelli più elevati anche negli anni a venire, mentre i buyback possono essere sospesi in qualsiasi momento).
  • Tipo IV: il management ritiene che l’azione sia al momento sottovalutata. Non solo è un ottimo investimento (si compra qualcosa che è cheap), ma riducendo il numero di azioni in circolazione si aumenta anche il rendimento (atteso) degli investitori di lungo periodo.
È chiaro che il tipo IV è quello che crea più valore, ma anche la forma più rara: quindi attenzione alle operazioni di tipo I e II, e non siate troppo entusiasti di quelle di tipo III.

Dall’altro lato, gli aumenti di capitale sono in genere considerati come “cattivo capital management”: ma anche in questo caso dipende dalla situazione. Se sono fatti in condizioni forzate (MPS, Carige, Banco Popolare), chiaramente sono penalizzanti per gli azionisti; ma se sono fatti per investire ad elevato ROIC (acquistare distressed assets, entrare in nuovi mercati, …) sono invece value-enhancing.

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