lunedì 5 settembre 2016

Blind stock valuation: risultati

Come promesso, ecco i risultati dell’esperimento.

Innanzitutto, grazie mille a tutti quelli che hanno partecipato: non ho ricevuto moltissime risposte (8), e quindi il campione non è statisticamente molto significativo, ma si possono comunque trarre alcune conclusioni. Tra coloro che hanno indicato anche la metodologia utilizzata per arrivare al valore intrinseco, vi è una prevalenza di discounted cash flow (DCF) o sue variazioni, ma sono stati usati anche i multipli.


In primo luogo, il nome delle aziende misteriose, che sono, nell’ordine: Brembo, Campari, Buzzi Unicem, Tod’s ed Astaldi. Ed ecco le stime del valore intrinseco (in milioni di euro, già ri-normalizzate sui dati effettivi di ciascuna azienda):

Capitalizzazione al 5 settembre 2016. La media modificata è calcolata escludendo le valutazioni massima e minima.
  • Vi è una significativa dispersione tra valori minimi e massimi, ma questo era implicito nell’esercizio. Mancano molti dati essenziali nella selezione di un investimento (corporate governance, allocazione del capitale, prospettive future, …): tuttavia non riesco a capire quali dati aggiuntivi, rispetto a quelli forniti, avrebbero portato a maggiore omogeneità.
  • Tra le 5 aziende, Astaldi è decisamente quella meno di qualità, ma dopo aver perso il 60% dal picco del 2015 è oggi l’unica ritenuta veramente sottovalutata anche prendendo la stima più bassa. Naturalmente questa non è un’analisi completa (di Astaldi ne ho già parlato), in quanto mancano considerazioni sul capitale circolante, struttura e scadenza del debito, progetti in essere, … Ma dal punto di vista puramente statistico sembra essere tra le più a buon mercato in Italia.
  • Data la dispersione nelle stime, sulla base di quelle più conservative le altre 4 società sono considerate tutte enormemente sopravvalutate; utilizzando le stime più alte Brembo, Campari e Buzzi avrebbero invece ancora un qualche margine di sicurezza.
  • Prendendo tuttavia i valori medi e mediani, Brembo sembrerebbe trattare tra fair e leggermente sottovalutata, mentre Campari e Buzzi sono di nuovo considerate sopravvalutate.
  • Al contrario di Astaldi, per Tod’s sembra invece esserci poca protezione dal downside in tutte le situazioni, nonostante margini e rendimenti tutto sommato ancora accettabili ed un calo dal picco raggiunto nel 2013 nell’ordine del 60%.
  • Andando nel dettaglio, ho notato le stime più alte sono state ottenute - come era ovvio attendersi - utilizzando tassi di sconto più bassi e/o tassi di crescita superiori. Questa non vuol essere una critica, ma significa che per le migliori aziende italiane la buona performance degli ultimi anni è venuta principalmente dalla riduzione del costo del capitale (tassi risk-free bassi, contrazione dello spread), oltre che da una buona crescita per quelle che ci sono riuscite.
  • Anche questa non è una critica, ma molti investitori (e soprattutto il mercato) guardano ancora poco ai cashflows e si concentrano più su utili e loro crescita: con l'eccezione di Astaldi (P/E di 5x), le altre aziende trattano a P/E compresi tra 19x e 31x (quindi non eccessvimanete costosi), ma a multipli EV/FCF tra 24x e 34x: in alcuni casi giustificati, in altri probabilmente no a meno di assumere un significativo miglioramento nei cashflows (è vero, i multipli sono calcolati sui dati di dicembre 2015, quelli attuali potrebbero essere migliori). 
  • Pur non sapendo di quali aziende si trattasse, molte delle risposte mostrano la tendenza ad estrapolare la crescita recente nel prossimo futuro: non necessariamente un errore, ma sicuramente un elemento al quale fare attenzione.
(NB: penso sia ridondante dirlo, ma queste non sono minimamente previsioni su come si muoveranno i prezzi, soprattutto nel breve periodo)

4 commenti:

  1. il problema tra mean reversion e trend dei numeri societari è uno dei problemi di ogni investitori value. tutti noi tendiamo a stimare tassi di crescita più alti per azinde che nel breve passato sono andate bene vedasi in particola bre e cpr e al contrario pensare che chi è andato peggio continuerà a fare male.
    questo comportamento è ben descritto in Deep Value, tornando ai titoli segnalati per la mia filosofia d'investimento gli unici su cui investirei sono tod e ast

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    1. Quello è il punto di centrale di value (vs. growth): stimare quanto valgono gli assets (normalizzati) senza fare previsioni su quale sarà la crescita futura.

      E proprio quello che cercavo di vedere con questo esperimento: quanto vale qualcosa se non si conosce la "storia" dietro il nome?

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    2. già proprio quello intendevo io su questo tema ho trovato molto interessante il libro di bruce greenwald from graham to buffet dove spiega i difetti di dcf e multipli e propone attraverso una rivisitazione presa da BG i concetti di nav ed epv per poi sconfinare nel franchise

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  2. In effetti come giustamente fai notare nel post, l'elemento che da notevole variabilità alle stime è l'utilizzo di tassi di crescita/sconto diversi. A questo punto vale veramente la pena domandarsi se questo metodo sia davvero valido vista la grande difficoltà nell'ipotizzare un tasso di crescita futuro soprattutto se mi spingo molto in là nell'orizzonte di previsione. Uso il potenziale tasso di crescita del settore oppure quello dell'economia di quel paese nel suo complesso (così usando un tasso di crescita unico annullo in un certo senso l'effetto di questa variabile)? E poi anche se uso i cashflows ritorno sempre allo stesso problema dei tassi di crescita/sconto di questi....

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