lunedì 10 ottobre 2016

“King Icahn”

Un po’ datato (è del 1993, anche se esistono ristampe più recenti, e quindi non include le “imprese” degli ultimi 20 anni), “King Icahn” è comunque un libro interessante su un investitore molto interessante: si legge velocemente ed è utile per capire cosa è accaduto negli anni 1980.


Il libro è presentato come una biografia non autorizzata, che in gergo giornalistico vuol dire l’autore non è stato assunto dalla persona in oggetto e quindi si ritiene libero di presentare il soggetto come preferisce. In realtà ammette di aver avuto ampio accesso allo stesso Icahn oltre che ai sui collaboratori, avvocati, banchieri, CEO, … 

Gli inizi della carriera
Su insistenza della madre, il giovane Carl si era inizialmente iscritto a medicina ma scoprì presto che quella non era la sua vocazione. Passò quindi 4 mesi di addestramento nell’esercito dove scoprì la passione per il poker. Tornato alla vita civile, cominciò ad investire in azioni e trasformò $4.000 vinti al gioco in $50.000 in meno di due anni (siamo agli inizi degli anni 1960), solo per perdere tutto nel crash del giugno 1962.

Il suo primo vero lavoro a Wall Street fu come trader di opzioni presso Gruntal & Co. (oggi parte di Stifel Financial): al tempo queste erano trattate solo over-the-counter, i prezzi erano molto “opachi” ed i broker ne approfittavano. Per crearsi il proprio giro d’affari, Icahn cominciò a pubblicare una newsletter settimanale con i prezzi delle opzioni che trattava. Questo non fece per niente piacere agli altri broker, che strinsero un patto segreto per non fare nessuna transazione con lui. Questo accordo finì però presto, con ognuno degli altri broker che chiamò Icahn per dirgli che in realtà era un bravo ragazzo, intelligente, e che avrebbe comunque fatto affari con lui, bastava che non lo dicesse agli altri (naturalmente, abbiamo solo la parola di Icahn su cosa sia veramente successo).

Dopo qualche anno, convinse uno zio ricco a prestargli $400.000 per comprare un seat al New York Stock Exchange, che sfruttò per creare nel 1968 la sua società di brokeraggio specializzata sugli arbitraggi: la sua specialità erano i closed-end funds che trattavano a sconto rispetto al NAV.

Da questo la strategia evolse nell’investire in aziende che trattavano a sconto rispetto al valore dei loro assets. L’elevata inflazione degli anni 1970 aveva infatti fatto aumentare il valore di liquidazione delle aziende con hard assets, ma la crisi di quelli anni aveva portato a mercati azionari depressi e quindi dozzine di piccole-medie aziende che erano estremamente sottovalutate. Icahn creò un partnership la cui strategia era dettagliata nel documento di offerta:

“It is our contention that sizeable profits can be earned by taking large positions in undervalued stocks and then attempting to control the destinies of the companies in question by: a) trying to convince management to liquidate or sell the company to a ‘white knight’; b) waging a proxy contest; c) making a tender offer and/or; d) selling back our position to the company.
Il primo obiettivo fu nel 1977 Tappan Company, un produttore di cucine e fornelli. Tappan, che aveva appena registrato la prima perdita in 40 anni, aveva un book value di $20 per azione ma trattava a soli $7. Nel corso dei due anni seguenti Icahn aumentò la sua partecipazione, con il management che resisteva qualsiasi tentativo di takeover emettendo preferred shares da consegnare nelle mani di investitori amici. Alla fine, la svedese Electrolux acquistò Tappan nel 1979 per $18, un premio del 50% rispetto al prezzo di mercato in quel momento.

Il secondo obiettivo fu un REIT, Baird & Warner: nel 1978 trattava ad un prezzo di $8 rispetto ad un book value di $14, ma Icahn riteneva che il valore di liquidazione fosse anche più elevato e quindi comprò il 20% delle azioni e domandò un posto nel consiglio d’amministrazione. Anche in questo caso l’azienda tentò di bloccarlo in ogni modo, ma finì solo per inimicarsi gli azionisti quando a causa delle perdite dovette annullare il dividendo. Ed Icahn ebbe buon gioco a far notare come il management possedesse ben poche azioni (quindi non era interessato a massimizzarne il valore vendendo o liquidando il REIT) e guadagnava molto di più con transazioni personali con l’azienda. Icahn aumentò la sua partecipazione al 34% e prese il controllo, liquidando alcuni assets ed usando la liquidità per le sue altre battaglie.

Il terzo atto come corporate raider quasi gli costò la carriera: nel 1979 comprò il 5% delle azioni di Saxon Industries, un produttore di carta, e cominciò a spingere perché l’azienda fosse ceduta. Al contrario, Saxon offrì di ricomprare a premio le sue azioni (quello che viene definito greenmail), ed Icahn accettò. A sua insaputa, il management di Saxon aveva un ottimo motivo per toglierselo di torno: aveva infatti “sovrastimato” il valore di utili ed assets, una cosa che un potenziale acquirente avrebbe scoperto durante il processo di due diligence (Saxon dichiarò fallimento nel 1982).

A questa seguirono altre operazioni (Hammermill Paper, Simplicity Pattern, Owens-Illinois, American Can, Anchor Hocking) nelle quali perfezionò la tecnica del greenmail: in ognuno di questi casi rivendette le azioni all’azienda stessa per un profitto di 15%-30% in poche settimane, rendimento che veniva moltiplicato dall’uso della leva finanziaria (all’epoca era comune finanziare gli acquisti di azioni con un prestito fino al 50% del valore da parte del broker). Nonostante il suo tentativo di presentarsi come il paladino di tutti i piccoli azionisti contro il management auto-referenziale, la sua “disponibilità” ad accettare greenmail dimostra invece che era piuttosto un arbitraggista che aveva trovato un punto debole nel sistema capitalistico americano.

Icahn entra in Champions League
Nel 1982 acquistò il 30% della catena di negozi Marshall Field, un target molto più grande dei precedenti: quando l’azienda fu venduta ad un cavaliere bianco alcuni mesi dopo, il suo profitto fu di $30 milioni rispetto ai $5 milioni dei precedenti raid.

Nello stesso anno entrò in Dan River, un’azienda tessile, con il 29% delle azioni. Questa tuttavia era decisa a mantenere la propria indipendenza e scelse la strada di una transazione privata: l’operazione comportò che il fondo pensione aziendale fu convertito in un ESOP (Employee Stock Ownership Plan) che acquistò tutte le azioni in circolazione, comprese quelle di Icahn. Dopo pochi anni, i dipendenti di Dan River persero quasi tutti i loro soldi a causa della competizione nel settore tessile da parte di aziende estere, ma Icahn era già uscito con un profitto di $8 milioni.

Seguirono poi $19 milioni dal greenmail di Gulf & Western (1983) e $41 milioni da B.F. Goodrich (1984). Nello stesso anno Icahn portò a termine anche la sua prima acquisizione completa, comprando ACF Industries, una conglomerata, in un’operazione di leveraged buyout. Questa operazione lo portò nell’orbita di Drexel Burnham Lambert e Michael Milken, che lo aiutarono con l’emissione di junk bonds per finanziare altre operazioni.

Nel 1985 tentò il takeover di Phillips Petroleum, dalla quale qualche mese prima un altro raider, T. Boone Pickens, aveva ottenuto un greenmail (Icahn non era certo l’unico a ricorrere a queste strategie). L’operazione è famosa perché per aiutare Icahn, Drexel utilizzò per la prima volta le sue famigerate “highly confident letter” che avrebbero rivoluzionato le operazioni di M&A per il resto della decade: in pratica, Drexel si diceva “altamente fiduciosa” di poter finanziare l’operazione ma si fermava un centimetro prima di prendere un impegno formale (che avrebbe poi dovuto portare a termine con il proprio capitale in caso ci fossero stati problemi a vendere le obbligazioni). Alla fine Phillips decise di accettare una ricapitalizzazione che fece guadagnare ad Icahn $50 milioni: questa fu finanziata con debito che esasperò i problemi di Phillips quando pochi anni dopo il prezzo del petrolio crollò. Ma, come nel caso di Dan River, all’epoca Icahn era già uscito con un profitto.

Il 1986 fu l’anno che definì la carriera di Icahn, quando portò a termine la sua seconda acquisizione completa, quella di Trans World Airlines. In questo caso dovette combattere non solo con il management di TWA, ma anche con Frank Lorenzo, presidente di Texas Air, che voleva a sua volta acquistare TWA. Due fattori contribuirono alla vittoria di Icahn. Il primo fu che Lorenzo era convinto che il suo rivale fosse interessato solo ad un rapido profitto, e quindi non riuscì a forzare il management di TWA in un accordo a prova di bomba. Il secondo fu che nel 1983 Lorenzo aveva portato Texas Air in una “bancarotta volontaria” per poter rinegoziare al ribasso i salari con i sindacati: questo lo fece odiare da tutti (piloti, hostess, meccanici, …) e trasformò Icahn, nonostante la fama di speculatore, nel buono della situazione. [Per chi ha visto il film Wall Street, questo episodio è ripreso nelle trattative tra Gordon Gekko ed i sindacati di Bluestar Airlines guidati dal padre di Bud Fox, prima che Gekko decida comunque di smembrare l’azienda.]

Nonostante avesse ottenuto enormi concessioni dai sindacati, TWA fu per Icahn un investimento molto meno redditizio di quelli precedenti: sottostimò infatti le competenze necessarie per gestire un’azienda complessa come un’aerolinea (è sempre stato un finanziere, non un manager), e quindi pagò troppo per un trophy asset.

“[…] he didn’t understand the leverage in the business: he was amazed to see how a penny increase in fuel prices could cut earnings by about $14 million. This kind of leverage really surprised him. He didn’t have the experience in the business to understand it.”

“[…] but Carl overestimated what he could do on the revenue side. Too many things were not under his control in that industry, like oil prices, recessions, terrorism, and unions, once an initial agreement had expired.”
Ma soprattutto non riuscì mai a generare i flussi di cassa che invece aveva preventivato, anche a causa della flotta aerea di TWA alquanto vecchia che necessitava di ingenti investimenti (che Icahn invece non voleva fare): nel libro è riportata una conversazione su un campo da tennis tra Icahn e Marty Whitman di Third Avenue:
“[…] Icahn said, ‘Hey Marty, the airlines look pretty good, don’t they?’, to which Whitman responded, ‘They look pretty good to people who don’t distinguish between gross cash flow and net cash flow.”
Vittoria con Texaco, sconfitte in altre operazioni
La storia di Texaco merita una spiegazione dettagliata. Nel 1984 Getty Oil si era accordata per fondersi con Pennzoil, ma Texaco fece un’offerta all’ultimo minuto ed acquistò Getty Oil. Pennzoil citò Texaco per “tortious interference” e nel 1985 vinse un risarcimento di $10,5 miliardi. Texaco chiese un’ingiunzione temporanea per impedire a Pennzoil di ottenere il pagamento, ma nel 1987 la Corte Suprema la rimosse e Texaco fu costretta a dichiarare bancarotta per impedire a Pennzoil di attaccare i sui assets.

La bancarotta fu una mossa puramente tattica: Texaco aveva un book value superiore a $20 miliardi, quindi avrebbe potuto pagare e rimanere comunque solvibile (i bond Texaco dell’epoca rimangono negli annali degli investimenti distressed/value, e lo stesso Buffett ne approfittò). E questo era comunque lo scenario peggiore, in quanto molti avvocati prevedevano che in appello il risarcimento sarebbe stato ridotto di molto. Tra quelli che ritenevano che per questi motivi le azioni Texaco fossero l’affare del secolo c’era l’australiano Robert Holmes a Court, che investì quasi $1 miliardo per acquistare 24 milioni di azioni. Come molti altri, aveva preso a prestito i capitali per l’operazione e con il crollo di Wall Street nel 1987 fu costretto a vendere: Icahn acquistò pertanto metà della sua partecipazione. 

Nel dicembre 1987 il giudice fallimentare diede al comitato degli azionisti il diritto di negoziare direttamente con Pennzoil per arrivare ad un accordo, che fu trovato sulla cifra di $3 miliardi (Icahn non fu ammesso nel comitato perché voleva essere libero di continuare ad acquistare azioni Texaco, che per la legge americana i membri di questi comitati non possono invece fare, e perché non voleva accordarsi per meno di $4 miliardi). Prima e dopo l’accordo, Icahn comprò l’altra metà dell’investimento di Holmes a Court, usando soprattutto la leva finanziaria: sia ACF Industries che TWA avevano emesso junk bonds che utilizzò per investire in Texaco.

La strategia di Icahn fu quindi di spingere Texaco ad un massiccio buyback finanziato vendendo alcuni degli assets posseduti. Nonostante il fallimento nell’ottenere un posto nel board, riuscì comunque ad ottenere la vendita di due controllate estere (Texaco Canada e Deutsche Texaco) e ad usare i proventi per pagare un dividendo speciale. Il prezzo di Texaco aumentò, ed Icahn uscì con un guadagno di $500 milioni su un investimento di $1,5 miliardi.

Gli altri investimenti della fine degli anni 1980 non ottennero però lo stesso successo. Nel 1986 Icahn entrò in USX, la controllante di US Steel e (all’epoca) Marathon Oil. Quando vendette la partecipazione cinque anni dopo, il rendimento sarebbe stato maggiore se avesse investito in T-bills. Non solo: le sue richieste furono disastrose per USX, che sotto pressione cedette a Blackstone a prezzo scontato il 51% delle ferrovie che servivano le sue fabbriche di acciaio, e negli anni seguenti le ferrovie ebbero risultati di gran lunga superiori a quelli dell’acciaio che invece era rimasto con USX.

“Blackstone got everything it bargained for: a sturdy business on the rebound, which it had snared for an extraordinarily low price of four times cash flow. That was one-third to one-half below the stock market valuations of most railroads. A little more than two years after the deal closed, Blackstone had made back nearly four times the $13.4 million it had invested. By 2003, when Blackstone sold the last of its stake in a successor to Transtar to Canadian National Railroad, the firm and its investors had made twenty-five times their money and earned a superlative 130 percent average annual return over fifteen years.”
Il maggior mal di testa per Icahn rimase comunque TWA. Nel 1988 concluse il leveraged buyout dell’azienda: oltre ad essere passata da perdite ad un modesto profitto (in gran parte dovuto a miglioramenti nel settore aereo ed alle concessioni che aveva ottenuto dai sindacati), il mercato dei junk bonds permise ad Icahn di rimpiazzare equity con debito, con il risultato di aver già recuperato tutto il suo investimento (con un profitto di 19%) ed avere ancora il controllo dell’aerolinea.

Ma la ciclicità del settore portò ad un deterioramento dei risultati subito dopo il buyout. Icahn provò ad offrire TWA a vari acquirenti, ma tutti rifiutarono a causa dell’elevato prezzo richiesto; allo stesso modo provò, e di nuovo fallì, a venderla a pezzi:

“Carl kept thinking that if he couldn’t sell TWA as a company, he could do an orderly liquidation of the business. But in the airline business, there is no such thing as an orderly liquidation. One plane can be worth $7 million but try to sell fifty and they are worth $3.5 million each.”
Il debito portò alla fine TWA alla bancarotta. È vero che Icahn aveva già recuperato il suo intero investimento, ma il buyout lo aveva anche portato ad essere il control investor, ovvero legalmente responsabile per il deficit pensionistico. La Pension Benefit Guaranty Corporation, l’agenzia governativa responsabile dei fondi pensione delle aziende che falliscono, aveva il potere di terminarlo a quel punto, una mossa che avrebbe aumentato il debito fino a $1,2 miliardi. Con la prospettiva di perdere oltre un miliardo, Icahn negoziò un accordo che limitò la sua esposizione ad un prestito a TWA di $200 milioni ed al pagamento di contributi pensionistici di $240 milioni su un periodo di 8 anni.

La mia opinione
Icahn ha continuato a prosperare mentre molti altri raider degli anni 1980 sono praticamente scomparsi, quindi è sicuramente un abile investitore. Ma l’intelligenza non è l’unica ragione del suo successo. Ha vinto molte delle trattative con il management delle aziende attaccate perché era più flessibile: il management voleva un solo risultato – mantenere il posto -, mentre ad Icahn andava bene qualsiasi esito gli avesse fatto guadagnare soldi.

Accettando i greenmail alla fine degli anni 1970 - inizio anni 1980 si arricchì proprio quando il maggior mercato della storia stava cominciando. Ma Icahn Enterprises, la sua partnership quotata (linea blu), ha sottoperformato l’indice S&P500 (linea verde) dal 1987 nonostante l’uso della leva finanziaria.


La maggior parte delle strategie che lo hanno arricchito non sono oggi più fattibili: le opzioni sono state standardizzate; maggiori restrizioni legali hanno reso i greenmail più rischiosi e meno redditizi; ci sono molte meno aziende che trattano a sconto rispetto al valore di liquidazione (e quando succede in genere è per un buon motivo).

Leggere dei successi di investitori famosi è divertente (e chiunque volesse leggere “King Icahn” dovrebbe farlo con questo intento), ma le loro tecniche sono spesso difficilmente replicabili.

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