venerdì 28 ottobre 2016

Piquadro: eccellenza italiana a prezzi di saldo?

Piquadro (PQ:IM) è l’azienda italiana di pelletteria, principalmente valige, borse da viaggio e cartelle di alta gamma. I prodotti sono venduti sia attraverso 58 negozi monomarca gestiti direttamente (directly-operated stores, DOS) che in 42 negozi multimarca.
 
Fondata nel 1998 e quotata nell’ottobre 2007 ad un prezzo di €2,20, oggi vale esattamente la metà e potrebbe essere un’interessante opportunità:



Rispetto ai competitors, Piquadro sembra infatti trattare a sconto:
I valori di Tumi si riferiscono al prezzo pagato nell’acquisizione da parte di Samsonite.

Strategia e vantaggi competitivi
Più che luxury, in una presentazione agli analisti del 2011 Piquadro si auto-definiva una “aspirational brand” (pag. 4), che secondo Wikipedia è:

“In consumer marketing, an aspirational brand (or product) means a large segment of its exposure audience wishes to own it, but for economical reasons cannot. An aspirational product implies certain positive characteristics to the user, but the supply appears limited due to limited production quantities.”
Le slides da 5 a 8 descrivono meglio il posizionamento: un brand conosciuto e che si desidera avere; differenziazione dai competitors, a parità di prezzo, grazie a qualità e design; orientamento sui giovani professionisti (25/50enni), “cittadini del mondo” sempre in movimento ma con buon gusto ed una passione per lo stile italiano. Piquadro vuole essere un brand che i clienti vogliono acquistare per sé stessi, non semplicemente per mostrarlo ad altri.

Non sono un esperto di marketing, ma questo è diverso da mass-market branding: molte delle aziende
aspirational non hanno un vero vantaggio competitivo. I classici moat sono infatti:
  • Barriere all’ingresso
  • Vantaggi di costo
  • Switching costs
  • Effetto network
  • Intangibles
Nessuno dei primi 4 è realmente applicabile alla maggior parte delle aziende di expensive branded fashion. L’unico che rimane è appunto il brand, ma anche questo va qualificato: un marchio come Nike ha valore non solo perché le persone ne riconoscono la qualità, ma soprattutto perché lo cercano attivamente e sono disposte a pagare di più per averlo.

Solitamente non è facile trovare buone analisi del mercato di riferimento: si può provare con Google, ma quello che si ottiene sono in genere molti articoli e pochi dati reali. Per fortuna, nella stessa presentazione del 2011 Piquadro offre un interessante grafico del posizionamento dei principali competitors (scusate la bassa risoluzione ma è così nell’originale): non solo la concorrenza è elevata, ma che il quadrante nel quale Piquadro si posiziona (“Premium/Performance”) è quello più affollato!


[Nota: dopo il 2011 non ho più trovato questo grafico, oggi Piquadro preferisce inquadrarsi in questa matrice nella quale è l’unica a soddisfare tutti i tipi di bisogni.]

Una fonte ancora migliore di informazioni sono i prospetti delle aziende che decidono di quotarsi, perché devono in qualche modo convincere gli investitori che il settore è eccitante e redditizio.

Dopo il buyout da parte di CVC Capital Partners nel 2007 e la bancarotta nel 2009, Samsonite si è ri-quotata ad Hong Kong nel 2011 (probabilmente per gli stessi motivi di Prada). Allo stesso modo Tumi, anch’essa acquisita in un buyout da Doughty Hanson nel 2004, è poi tornata sul mercato nell’aprile del 2012, e quest’anno è stata acquistata proprio da Samsonite. Mandarina Duck, italiana ed altro concorrente diretto, è invece posseduta dal 2011 dal gruppo coreano E-land e non sono disponibili dati finanziari.

Anche se un po’ datato, il grafico a pag. 90 del prospetto di Samsonite mostra come la crescita del mercato sia in linea più o meno con quella del PIL (mondiale/regionale): nel periodo 2010-2015 il fatturato di Piquadro è effettivamente cresciuto di 5,2% l’anno!

All’epoca dell’IPO Samsonite non indicava Piquadro come un concorrente diretto, ma la raggruppava assieme a Mandarina Duck nella categoria “Others”, che rappresenta il 75% del mercato europeo (pag. 106).

Il prospetto di Tumi conferma invece come il settore sia molto frazionato, e che la competizione è principalmente sugli intangibles (brand recognition e fedeltà dei clienti):
“Our biggest global competitor in the travel goods category is Rimowa, a German company. We also compete with Samsonite in Europe, the Middle East, Africa and Asia-Pacific. In the premium luggage and business cases category, we compete with Bally, Dunhill, Ferragamo, Gucci, Louis Vuitton, Montblanc, Porsche and Prada. In the business case category, we also compete with smaller brands in specific markets. In the U.S., our main competitors are Victorinox and Briggs and Riley. In Europe, the Middle East and Africa, our key competitors are Mandarina Duck and Piquadro.

[…] We believe that our primary competitive advantages are favorable consumer recognition of our brand amongst our targeted demographic, consumer loyalty, product development expertise and widespread presence in premium venues through our multi-channel distribution.”
Ancora meglio Samsonite, con questa perla a pagina 95:
Barriers to entry into the luggage market are generally low, which has contributed to the fragmented nature of the industry. Key challenges for an entrant or an existing company expanding are investment in brand awareness, innovation in new products, access to quality producers, and development of an effective national / local retail network. Leading players benefit from established brand names, extensive distribution networks, economies of scale and the ability to invest in R&D and marketing.”
Il leader di mercato conferma che ci sono in parte economie di scala (ma Piquadro è più piccola e meno globale), e soprattutto che non ci sono barriere all’ingresso: quindi – a parte il marchio – nessun vero vantaggio competitivo. L’altra cosa che Samsonite dice è che il brand va comunque mantenuto ed accresciuto, con continui investimenti: sia Samsonite che Piquadro, spendono tra il 5% e il 6% dei ricavi in marketing ed R&D.

Analisi finanziaria
La strategia di Piquadro è abbastanza semplice: espandere il successo ottenuto in patria sul palcoscenico globale. Ad oggi, nonostante il tentativo di internazionalizzazione, tre quarti dei ricavi sono ancora generati in Italia e meno del 7% al di fuori dell’Europa. In aggiunta, il canale indiretto (wholesale) è ancora responsabile per due terzi del fatturato: questo è un segmento più “volatile”, molto competitivo e con clienti più attenti ai prezzi, come ben dimostra il 2013, anno nel quale la perdurante incertezza economica in Europa causò un calo del 20% dei ricavi che non sono ancora tornati ai livelli precedenti.

Per migliorare la brand recognition Piquadro è sempre più indirizzata verso la vendita nei propri DOS (oltre che online): i negozi monomarca sono infatti passati da 10 nel 2007 a 58 oggi, ed i ricavi per DOS crescono a ritmi sostenuti (+7,5% annuo dal 2011).

“La strategia pianificata dal Gruppo è indirizzata a sviluppare l’attività di vendita anche tramite negozi DOS in considerazione della capacità di valorizzare al massimo il prestigio del marchio Piquadro, consentendo inoltre un controllo più diretto della distribuzione e una maggiore attenzione alla soddisfazione del consumatore finale.” (pag. 17 del bilancio 2016 di Piquadro)
L’altro lato della medaglia è che l’apertura di negozi in giro per il mondo ha costi non indifferenti: affitto/leasing degli spazi, salari per i nuovi dipendenti, maggiori scorte di magazzino, … Il canale DOS ha infatti margini operativi inferiori rispetto a wholesale (storicamente per Piquadro tra 50% e 70% più bassi) e ci vogliono circa 24/36 mesi dall’apertura perché un nuovo store diventi redditizio.

Per questi motivi, utili e flussi di cassa si sono contratti del 60% dal picco del 2011.

Fino al 2011 oltre 80% degli utili si trasformava in FCF, niente male per un’azienda che cresce a ritmi sostenuti: due terzi dei FCF erano usati per i dividendi, ed il restante per ridurre il debito. Ma da allora i FCF sono stati meno della metà degli utili contabili, e gran parte dell’espansione è stata finanziata con il debito. Non solo i margini sono crollati, ma gli investimenti hanno dimezzato il ROIC.
[Nota: invested capital - il numeratore di ROIC – utilizzato in questa analisi è più alto di quanto riportato dall’azienda a pag. 33 dell’ultima presentazione: a parte alcuni aggiustamenti minori, la principale differenza è che io includo anche il valore presente dei leasing operativi, perché questi sono a tutti gli effetti debito. Sono proprio questi il fattore principale nel fallimento di molti retailers, e la storia di Samsonite ne è un esempio: un’espansione troppo rapida, in questo caso a causa di un proprietario di private equity troppo ottimista sulle prospettive future, che porta ad un fardello eccessivo di leasing operativi. Il debito reale dei retailers è sempre molto più alto di quello che sembra: la tabella sottostante mostra come quello on balance sheet sia sempre basso (molte aziende sono net cash per l’enorme liquidità che generano), ma che la situazione è ben diversa se si include anche il debito off balance sheet.]
I valori del debito sono in milioni.
La tesi rialzista e quella opposta
I principali motivi addotti per l’attuale sottovalutazione di Piquadro sono:

  1. Dimensioni: la sua capitalizzazione è di soli €55 milioni, molto inferiore alle altre aziende e troppo piccola per attirare l’attenzione dei grandi fondi
  2. Illiquidità: il fondatore possiede ancora il 68% dell’azienda (altri azionisti dichiarati sono Mediobanca 5%, Fidelity 2% e Lazard 2%) e quindi il flottante è molto ridotto
  3. Il mercato è troppo focalizzato sui risultati di breve termine: la riduzione dei margini è temporanea, una conseguenza dei maggiori costi per supportare l’apertura di nuovi negozi che però pagheranno nei prossimi 3-5 anni.
Altri aspetti positivi da considerare includono:
  • Anche se su livelli più bassi, è rimasta redditizia anche negli anni della crisi: sia i competitors che la stessa Piquadro (nel passato) hanno dimostrato di poter ottenere buoni margini e buoni rendimenti del capitale investito
  • Marco Palmieri, l’azionista principale nonché fondatore, presidente e CEO, ha uno stipendio di “soli” €400.000: considerando che riceve di più attraverso i dividendi, i suoi incentivi sono sostanzialmente allineati con quelli degli altri azionisti.
  • Si sta trasformando da azienda a conduzione familiare ad una con management professionale: nel 2011 è stato assunto da Tumi il nuovo Head of International Brand Development 
A bilanciare questi plus, ci sono anche alcuni aspetti negativi (mie opinioni personali):
  • L’eccessiva esposizione al mercato italiano: il brand è ancora troppo poco conosciuto al di fuori del nostro paese
  • Non solo: i marchi di “seconda fascia” (rispetto a quelli top come LVMH, Hermes, Prada, …) soffrono di più nei momenti di rallentamento dell’economia (vedi 2013)
  • Passare da un modello orientato al wholesale ad uno diretto non è semplice: è vero che il formato dei department stores è in declino cannibalizzato dalle vendite online, ma affittare e gestire i propri negozi è più rischioso e necessita di competenze specifici. [Su questo punto sembra che l’azienda abbia risposto: nella presentazione del 2016 la strategia retail sembra essere basata su “selective openings (and closures)” ed il numero di DOS oggi è 54 rispetto ai 58 di marzo scorso.]
  • Potrebbe essere una fashion-hype brand? Dozzine di esempi dimostrano che queste aziende sono spesso value traps anziché vere opportunità
  • “Eccessive aspettative negative” erano già prezzate nel periodo 2011-2012: da allora il prezzo è in effetti risalito fino oltre €2 per poi ricrollare attorno a €1. All’epoca l’azienda sembrava avere buona crescita, buoni margini, buona generazione di flussi di cassa e bassa leva finanziaria. Abbiamo però visto che gli anni seguenti si sono rivelati molto differenti: i margini si sono ulteriormente contratti, i FCF sono quasi spariti e la struttura del capitale non è così conservativa come molti credono.
Conclusioni
Potrebbe sembrare facile valutare un’azienda come Piquadro, ma almeno per me non lo è affatto: ho quindi deciso di procedere con una stima molto spannometrica. 

Se ci dovesse essere l’attesa mean reversion verso la redditività di qualche anno fa grazie agli investimenti che cominciano a dare i loro frutti, l’azione sarebbe oggi molto sottovalutata (il “se” è perché è tutto da vedere se sarà possibile tornare ai margini del “vecchio” modello basato sul wholesale nella “nuova” strategia basata sui DOS). Basterebbe che il income margin risalisse fino a 10% (inferiore alla media degli ultimi 10 anni) dal 6% attuale perché il titolo possa valere tra €1,7 e €2,1 (upside tra 50% e 90%) senza dover assumere nessun re-rating del P/E verso i multipli superiori dei competitors.

Alle condizioni attuali, tuttavia, l’azione non è certamente sottovalutata. È vero che il book value per azione (€0,74 al 31 marzo) offre una qualche protezione dal downside, soprattutto perché Piquadro non ha nessun goodwill; ma non è nemmeno una deep-value situation, perché il net current asset value per azione (calcolato a la Benjamin Graham) è di soli €18 milioni (che sale a €33 milioni se includiamo le immobilizzazioni materiali) rispetto ad una capitalizzazione di €55 milioni.

Capitalizzando gli owner’s earnings normalizzati attuali, per arrivare al prezzo corrente di mercato bisogna assumere che la crescita in perpetuo sarà particolarmente buona, oppure che il costo del capitale di Piquadro sia particolarmente basso (e no, non mi importa cosa viene applicando il CAPM perché il risk-free rate oggi è quasi 0%: è difficile sostenere che il WACC di una small-cap italiana di questo tipo sia 7% o anche meno).

Le celle in verde indicano una situazione nella quale il valore intrinseco stimato è superiore al prezzo corrente.

In sintesi, ritengo difficile pagare un premio del 50% sul book value per un’azienda che non mi sembra avere nessun vero vantaggio competitivo. E soprattutto non vedo un’opzione implicita gratuita sulla crescita futura come alcuni sostengono (l’opzione c’è, ma non è gratis, anzi). Sarei tuttavia molto interessato se il prezzo dovesse scendere ancora (diciamo attorno a book value, €0,75-€0,80): in quel caso sarebbe effettivamente una deep-value situation.

2 commenti:

  1. Ciao Matteo,
    Lavoravo nel settore e conosco bene l'azienda. Ha finanziato un'aggressiva politica di espansione all'estero a debito, purtroppo non è riuscita a vendere molto. Il prodotto è TUTTO made in China, di bassa qualità, l'italianità è solo nel design, ma oggettivamente manca di contenuti per avere un'appeal forte fuori Europa. Acquisirà a breve The Bridge, altra azienda che purtroppo si è "svenduta" sia a livello qualitativo che di design, penso che Palmieri abbia bisogno di qualcosa che sia piu "italiano", ma la realtà è che il mercato della pelletteria è molto saturo e questi marchi molto "locali" fanno fatica a fare il salto di qualità, sia per la carenza di idee sia per quella (piu importante) degli investimenti di marketing che servono a spingere il prodotto. Secondo me è meglio investire in un'azienda come Cover 50, che almeno fa le cose in Italia ed è molto forte in USA...
    Ciao ciao
    Stal

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    1. Grazie, ne sai sicuramente piu' di me sul settore. Che la produzione sia tutta cinese lo dicono anche loro nel bilancio; per il resto concordo, sono piu' o meno le conclusioni a cui sono giunto anch'io leggendo i numeri.

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